She’s Gotta Have It – stagione 2: recensione della serie Netflix

Recensione della stagione 2 di She's Gotta Have It, la serie Netflix scritta e diretta da Spike Lee, che parla di femminismo nella società afroamericana.

In questa vita turbolenta e confusa, non abbiamo bisogno di altro che certezze e quando si parla di Spike Lee, si parla proprio di certezze. Quando nel 2017 aveva debuttato su Netflix She’s Gotta Have It – serie TV scritta e diretta da Lee basata sul suo film del 1986 Lola Darlingl’avevamo definito la nuova moneta d’oro nel forziere del servizio streaming. Ora che la seconda stagione è tra noi, possiamo ribadirlo: She’s Gotta Have It è la cosa più poetica, elegante e profondamente empowering che potrete trovare su Netflix.

La storia è ancora quella di Nola Darling – interpretata dalla bella bellissima DeWanda Wise – una donna nera di Brooklyn che nella vita vorrebbe fare l’artista. Una delle sue ultime opere, il ciclo That’s Not My Name che abbiamo conosciuto nella prima stagione, ha avuto un successo strepitoso, ma non basta. Nola deve cercare di trovare dei compromessi, sia nella sua vita d’artista che ha bisogno di soldi per vivere, ma che non vuole svendere la propria identità, sia come donna che non vuole sacrificare la propria indipendenza per nessuno, ma che fatica a dire di no all’amore. Amore che se prima era rappresentato da tre uomini distinti – differenti tra loro in maniera profondissima – ora è anche incarnato da una donna affascinante che mette Nola in un angolo e la costringe a tentare di crescere.

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She’s Gotta Have It è la cosa più poetica e profondamente empowering di Netflix, anche nella sua seconda stagione

Con l’artisticamente elevato She’s Gotta Have It Spike Lee torna a raccontarci le ipocrisie della società afroamericana, dei movimenti femministi, delle minoranze degli Stati Uniti del terzo millennio. Quel percorso ben impostato nella prima stagione continua imperterrito nella seconda, senza dimenticarsi di essere uno Spike Lee Joint. Non si dimentica di essere un manifesto e non si dimentica di accompagnarsi a classici soul, R’n’B, hip hop. Questa volta trova persino il tempo di dedicare una puntata intera a Prince e alla sua Purple Rain, celebrando uno degli artisti più influenti, magici, affascinanti e ipnotici del secolo scorso.

E ipnotico è anche ogni momento di She’s Gotta Have It. Sono ipnotiche le scene di sesso bellissime e sensuali che, con persistenza, caratterizzano praticamente ogni puntata rendendosi – grazie al grande messaggio di liberazione sessuale – il lungo filo rosso della serie. Sono ipnotici i monologhi sussurrati alla camera da presa dagli occhi color nocciola di Wise e sono ipnotiche le discussioni su cosa significhi essere una donna, un individuo di colore, un americano. È ipnotica la regia di Lee, ritmata e vorticosa, leggera e brillante.

Il filmmaker newyorkese – anzi, di Brooklyn – si interroga su cosa significhi essere un artista, sulle validità dei messaggi e su quanto le modalità di trasmissione siano spesso più importanti dei contenuti. Per questo, nel dubbio, fa quello che ha sempre fatto: sbatte sullo schermo significati importanti, per se stesso e per il suo pubblico ideale, ricordandosi di farlo attraverso la bellezza, l’estetismo perfetto. E attraverso questa esteriorità grandiosamente dipinta denuncia, accusa, fa dichiarazioni pesanti come macigni, ma ricoperti di colori sgargianti e mossi da corpi eccezionalmente modellati.

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She’s Gotta Have It è come la sua protagonista: sfacciato, bellissimo, incosciente e profondamente artistico

She’s Gotta Have It è un’opera superiore, una serie TV nella quale è ben percepibile il respiro di un grande cineasta che ha deciso di usare il mezzo per trasmettere un messaggio personalissimo, ma condivisibile da chiunque si senta coinvolto. Fa venir voglia di vivere la propria vita diversamente, consapevoli che quella vita, quella che ci viene mostrata così sfacciatamente, non potrà mai essere reale. Per nessuno. Nemmeno per Nola Darling. Nemmeno per Spike Lee.

Per questo esiste la finzione e per questo è così facile innamorarsene. Altrettanto semplice, poi, è dimenticarsi che sia finzione e affezionarsi alle storie che ci vengono raccontate, soffrendo quando è il momento di soffrire, innamorandosi quando è il caso, sorridendo quando è l’occasione giusta.

Nola Darling è tutto quello che vorremo essere e, contemporaneamente, tutto quello da cui ci teniamo lontani con timore. She’s Gotta Have It è una serie di cui non sapevamo di avere bisogno ma di cui ora non potremmo più fare a meno. Maledetto Spike Lee.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 5
Emozione - 3.5

4

Tags: Netflix