Sciame: recensione della serie tv Amazon Prime

Una serie tra horror, satira dei fandom e road movie, esplora un sentimento non indagato a sufficienza: la devozione morbosa a una star, la perversione dell'idolatria.

La recensione di Sciame, serie tv in sette episodi disponibile su Prime Video da venerdì 17 marzo

Sciame è il titolo di una serie tv disponibile da venerdì 17 marzo 2023 su Prime Video: alla sua realizzazione ha lavorato l’eclettico Donald Glover – noto anche come Childish Gambino – e un gruppo di sceneggiatori, già showrunner di Atlanta, che annovera al suo interno, come nuova recluta, anche la primogenita degli Obama, Malia.

“Sciame” è il nome che si autoattribuiscono i membri della fanbase della popstar fittizia Ni’Jah, fanbase twittante (e non solo) di cui la protagonista Dre (Dominique Fishback) fa parte: l’appellativo rimanda all’idea di moltitudine e sono in tanti, infatti, coloro che fanno di una parentesi della loro vita – la passione per un idolo musicale – l’unica ragione della vita intera, un tutto a cui sacrificare tempo, energie, affetti, persino la stabilità mentale.

Sciame: la perversione dell’amore idolatrico che porta all’annullamento di sé e al collasso della realtà

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‘Sciame’ è disponibile su Amazon Prime Video da venerdì 17 marzo 2023. Gli episodi che la compongono in totale sono sette.

È quanto accade a Dre stessa che, persa l’unica persona amata (la sorella Marissa, aspirante make-up artist, interpretata da Chloe Bailey), ottura il vuoto esistenziale con l’esasperazione maniacale del suo culto. L’ingresso nella spirale auto ed eterodistruttiva è allora una conseguenza quasi inevitabile di un’ossessione che divora chi la prova compromettendone radicalmente i rapporti con la realtà esterna. L’ispirazione per il plot, la cui sintesi risulta impossibile data la simultaneità di suggestioni e spinte centripete rispetto al filone principale della vicenda, sembra provenire dall’esperienza dei BeyHive (“L’alveare dell’ape regina“, si potrebbe sommariamente tradurre così, e chiaramente il diminutivo Bey gioca sull’omofonia con la parola bee, “ape“), la folta schiera dei supporter di Beyoncé: negli anni, la fanbase dell’artista ha dato prova di devozione e sostegno pressoché illimitati, eppure ha dimostrato anche fino a che punto l’amore per l’idolo non è incondizionato, ma anzi soggetto a precise condizioni, l’attesa di una simmetrica corrispondenza, rispetto a quanto dato, da parte della star stessa che ne avrebbe beneficiato.

Sciame, la cui protagonista Dre – che vive proprio a Houston, la città di Beyoncé, a cui Ni’Jah tra l’altro somiglia – non è ‘fabbricata’ per incontrare l’empatia senza incrinature dello spettatore, bensì per scuotere, disturbare, suscitare finanche pieno disgusto, si avventura in un territorio a ben guardare poco esplorato dalle molteplici forme dell’audiovisivo: l’amore per un feticcio, l’amore appunto idolatrico. Si tratta di un fenomeno antico, che oggi si riscopre attuale, sebbene disarticolato in una ramificazione di infatuazioni morbose per idoletti pronti a subentrare l’uno all’altro, nel tentativo – o illusione? – di supplire non solo a un vuoto di fondo, ma a una mancata accettazione dello stesso, al mancato accoglimento della mancanza strutturale. È, dunque, una passione compensatoria, quella per l’idolo-feticcio, che funge da surrogato di un amore che altrove non sembra reperibile; è una passione perversa proprio perché resta nella sfera del soggetto: chi, come Dre, è disposto a tutto per l’oggetto del suo culto di fatto non ha con questo alcun rapporto, in quanto la relazione si consuma unicamente con un’immagine introiettata, con un duplicato interno, fantasmatico, il prodotto di un desiderio di completezza e perfezione che non trova possibilità di incarnazioni o concretizzazioni nel reale.

Se lo spunto da cui Sciame prende avvio è interessante e denso di potenzialità, il suo sviluppo sembra, tuttavia, abortito: la questione di fondo – le ragioni profonde del feticismo idolatrico e le sue conseguenze rispetto all’unità del sé e della realtà percepita – è aggirata. L’elusione di tale confronto viene camuffata da una provocatorietà di maniera, più pulsionale e ricattatoria che utile alla drammaturgia della rappresentazione: le virate orrorifiche e splatter e l’amplificazione degli effetti perturbanti contribuiscono all’evocazione di un’atmosfera angosciosa, tuttavia spesso questa atmosfera, come fitta coltre, finisce per non solo coprire tutto il resto, ma persino per impedirne l’emersione, l’articolazione, la strutturazione compiuta.

L’allucinorietà evocata dall’estetica lisergica e psichedelica dello show non riesce a sollevarsi al di sopra di un gusto comunque industriale e Sciame finisce per somigliare a tanti altri prodotti analoghi per confezione: a venire meno, furbescamente, è la drammaturgia, che non scioglie i nodi, ma affida all’immagine, al sonoro e alla performance attoriale il compito di risolvere questioni che competerebbero alla scrittura. E per scrittura non si intenda – né si dovrebbe mai fare – meccanica narratologica. I colpi di scena non mancano, ma quanto sono strumento di evoluzione del racconto visivo e quanto, invece, puro automatismo stordente ed estorsivo? Non è chiaro, così come non è chiara l’intenzione comunicativa di fondo.

Sciame: conclusioni e valutazione

‘Sciame’ è disponibile su Amazon Prime Video da venerdì 17 marzo 2023. Gli episodi che la compongono in totale sono sette.

Sciame è un prodotto seriale lungamente atteso: la fase preparatoria e propedeutica alla realizzazione non è stata affatto improvvisata o sbrigativa. Girata in pellicola, Sciame è una serie dalla confezione curata: ciò rappresenta sia la sua principale attrattiva sia il suo limite. L’ispirazione alla base del soggetto, la volontà di messa in scena di una dinamica ossessiva che risucchia nel suo vortice una giovane donna pronta a tutto per una pop star suo idolo, è buona e di grande attualità, ma, nonostante la regia sia in pieno controllo della materia narrativa ed estetica e nondimeno i reparti tecnici – fotografia e design sonoro – si mettano a servizio dell’evocazione del perturbante in modo funzionale ed efficace, Sciame non riesce a incidere e a distinguersi nella pletora di produzioni seriali a causa di una scrittura negligente rispetto all’indagine dei moventi profondi della passione idolatrica della sua protagonista. Inadempienza, quella della scrittura, non compensata dalla qualità tecnica del prodotto, e causa dell’estrema superficialità della sua audacia, una provocatorietà più di maniera che di sostanza che, già dopo un paio di episodi, stucca più di quanto turbi o disorienti.

La sceneggiatura avrebbe inoltre dovuto svolgere una funzione di raccordo e saldatura delle numerose suggestioni disarticolate presenti nell’opera, che mescola satira sociale – la critica alla tossicità grottesca dei fandom; la perversione sistemica del fanatismo -, la tradizione americana dell’on the road e l’horror ora splatter ora allucinogeno-psichedelico. Le componenti ibride dell’opera non sembrano inserirsi in un’impalcatura drammaturgica che le sorregga. Il personaggio, costruito per disturbare e per spiazzare, è ben interpretato da Dominique Fishback, ma, a dispetto degli sforzi, la sua psicologia disturbata, restituita con discreto virtuosismo, non sconvolge nessuno e si presenta allo spettatore solo quale “copia industriale di mille riassunti” (semicit).

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3