Reservatet – La riserva: recensione della serie Netflix
La recensione della miniserie noir-thriller creata da Ingeborg Topsoe e interpretata dalla celebre attrice danese Marie Bach Hansen. Dal 15 maggio 2025 su Netflix.
Il vento gelido dei gialli nordici non smette mai di soffiare su Netflix, nemmeno nelle stagioni calde e meteorologicamente più clementi. E infatti ecco l’ennesima serie mistery proveniente dalle terre scandinave approdare sulla piattaforma a stelle e strisce il 15 maggio 2025. Si tratta di Reservatet – La riserva, lo show danese in sei episodi (con durate variabili dai 30 ai 40 minuti) diretto da Peter Fly e creato da Ingeborg Topsoe, nota per il suo lavoro su progetti acclamati dalla critica come Wildland e The Charmer.
Alla base di Reservatet – La riserva c’è una commistione di mistero e commento sociale con riflessioni morali sulle divergenze di classe, il razzismo e le distorsioni tra i rapporti di genere
La Topsøe apporta la sua consolidata abilità nel creare storie incisive e ricche di suspense a questa sua ultima fatica seriale, che in tal senso non ha nulla da invidiare a tante altre che l’hanno preceduta. Peccato solo per qualche passaggio a vuoto di troppo lungo la timeline che insieme ad altrettanti momenti di perdita di lucidità nella scrittura depotenzializzano la componente thriller della linea orizzontale del racconto. I colpi di scena non mancano e arrivano tutti al momento giusto (vedi quello piazzato a pochissimi secondi dall’epilogo), alimentando e rilanciando così la narrazione. Tuttavia le piccole crepe di cui sopra determinano una dispersione di tensione che non consente al risultato finale di conquistare in tutto e per tutto lo spettatore di turno. Nell’ingranaggio che la showrunner ha tirato su c’è una commistione di mistero e commento sociale con riflessioni morali sulle divergenze di classe, il razzismo e le distorsioni tra i rapporti di genere. In questo mix prende forma e sostanza un crimine che si consuma nella tipica connotazione nordica, fredda, e distaccata. Il ché rende Reservatet per certi versi un prodotto parassitario e derivativo rispetto ai modelli e ai nuclei tematici ai quali fa fisiologicamente e geneticamente riferimento. Da questo punto di vista la miniserie non aggiunge nulla di significativo alla causa della sterminata e celebrata letteratura Nordic-Noir se non fosse per lo spostamento del racconto dai paesaggi tipicamente cupi o borghesi al mondo opulento e apparentemente immacolato della ricchezza e delle classi più privilegiate. Questo ingrediente permette di distaccarsi in piccola parte dalla ricetta tradizionale che vede il delitto e la conseguente indagine avere come cornice comunità e realtà arroccate o barricate in se stesse, tra foreste, montagne e zone impervie, dove si fa presto a seppellire inquietanti verità.
La performance di Marie Bach Hansen nei panni della protagonista è il valore aggiunto di una miniserie che presenta qualche crepa nella linea mistery
Ambientata sullo sfondo incontaminato delle enclavi più ricche della Danimarca, la serie in questione sembra mostrare tutto alla luce del sole, per poi sprofondare nelle trame di esistenze tanto facoltose quanto oscure. L’innesco parte dall’improvvisa sparizione di Ruby, una giovane ragazza alla pari filippina, da un lussuoso quartiere a nord di Copenaghen. Questo singolo evento agisce da catalizzatore, minacciando di sgretolare le vite meticolosamente costruite dei suoi residenti. A guidare l’incursione in questa rete di inganni è Cecilie, una vicina la cui esistenza apparentemente idilliaca viene irrevocabilmente turbata man mano che si convince sempre più che la scomparsa di Ruby non sia un semplice incidente. Mentre le superfici levigate di questa esclusiva comunità iniziano a incrinarsi, gli spettatori sono invitati a interrogarsi su cosa accade quando la facciata crolla e i segreti accuratamente custoditi dell’élite vengono portati alla luce. A interpretare la protagonista una convincente Marie Bach Hansen, celebre per la sua capacità di trasmettere profondità, intensità, sfumature cangianti e complessità ai personaggi che le vengono affidati. Raramente non assolve al compito, risultando come spesso accade il valore aggiunto che consente al film o alla serie che la vede impegnata di salire di livello. Ed è quanto accade in Reservatet, laddove la sua performance alza il più delle volte l’asticella.
Reservatet è una miniserie ben confezionata, che sul piano tecnico porta sullo schermo un prodotto nella media qualitativamente efficace
Ciò che resta è comunque una miniserie ben confezionata, che sul piano tecnico porta sullo schermo un prodotto nella media qualitativamente efficace e in linea con quanto abitualmente giunge alla nostra attenzione dalle produzioni dei Paesi nordici. Del resto dietro la macchina da presa figura uno come Fly, un nome sinonimo di cinema e televisione danesi di impatto, autore di opere come The Bench e Borgen – Il potere. Qui mette a disposizione del progetto competenze ed esperienze da lui maturate nel settore, che diventano a loro volta una base tecnica solida con e attraverso la quale viene messa in quadro con discrete soluzioni visive la vicenda.
Reservatet – La riserva: valutazione e conclusione
Dalle terre scandinave un nuovo nordic-noir che si allinea per modus operandi e atmosfere alla sterminata letteratura del modello e del genere di riferimento. Il ché rende Reservatet – La riserva un prodotto seriale con un approccio parassitario e per forza di cose derivativo. La creatrice Ingeborg Topsoe riesce tuttavia a trovare un tratto in grado di distinguerlo seppur in piccola parte dalle piste più battute, spostando l’azione nel mondo opulento e apparentemente immacolato della ricchezza e delle classi più privilegiate della Danimarca. Così facendo, la miniserie trova una sua ragione di esistere e di conseguenza l’attenzione del pubblico. Purtroppo delle fragilità drammaturgiche e nella linea mistery depotenzializzano la struttura gialla nel suo complesso, ma niente in grado di destabilizzarla al punto da comprometterla completamente. I colpi di scena non mancano e sono anche ben piazzati. È la dispersione cronica di tensione a impedire allo show di decollare e offrire al fruitore una suspence costante. Resta comunque una miniserie che sa come tenere a sé fino alla fine lo spettatore. Aiutata in questo dalla performance davvero efficace della protagonista Marie Bach Hansen e dalla regia solida di Peter Fly.