Ragnarok – stagione 3: recensione della serie TV Netflix

La terza e conclusiva stagione della serie che mescola la contemporaneità con la mitologia norrena

La resa dei conti, l’atto finale, l’ultimo capitolo della serie che ha cercato di attualizzare una mitologia norrena a noi raccontata ormai solamente tramite l’ostentato sguardo della Marvel Cinematic Universe; la 3ª stagione di Ragnarok è da poco stata distribuita su Netflix che, da 3 anni a questa parte, porta in auge la serie danese-norvegese prodotta da SAM Productions. Nata da un’idea di Adam Price, la serie ha debuttato poco prima della pandemia, a Gennaio del 2020, e da lì ha ottenuto un seguito non indifferente che le ha permesso di aggregare all’inconcludente e, quasi esclusivamente, appellativa prima stagione, altri 2 capitoli in grado di approfondire la duale concatenazione di eventi che vede la riscoperta di un sapere antico e trascendente, viaggiare parallela alla dinamiche relazionali della piccola città di Edda. Dopo il finale mozzafiato della stagione 2, che aveva lasciato aperti moltissimi interrogativi, mettendo nuovamente in discussione il rapporto tra Magne (David Stakston) e Laurits (Jonas Strand Gravli) e ipotizzando nuovi scenari totalmente inaspettati nel conflitto tra i due fratelli e la famiglia Jutul. Dei e giganti arrivano a questa ulteriore e conclusiva stagione consapevoli di non potersi opporre al tanto atteso Ragnarok, che si fa sempre più incombente.

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Ragnarok – stagione 3: armonia e caos

3ª stagione di Ragnarok cinematographe.it

Cosmo e caos: l’eterna battaglia tra l’ordine e il disordine che ha luogo nell’universo e nell’individuo. Nel Ragnarok il cosmo soccombe. Ma solo affinché il mondo possa rincominciare“. Dopo l’apertissimo ed intenso finale della stagione precedente, la serie riprende con un breve salto temporale ricostruito dalla voce fuoricampo: per intercessione di Laurits, Magne e i suoi nemici, la famiglia Jutul, sembrano aver trovato una tregua che passa dalla deposizione di Mjöllnir (l’arma più potente al mondo) da parte del giovane dio; egli è però inconsapevole che, nel frattempo, nelle inquinate acque del lago della città, il fratellastro ha liberato Jörmungandr, unico essere, secondo la leggenda, in grado di sconfiggere Thor.

Il richiamo del martello si fa però sempre più insistente, definendo un’attrattiva in grado di avvicinare sempre più il protagonista al potere ma, al contempo, di allontanarlo dagli affetti. L’atteggiamento di lui si fa infatti sempre più scostante, prevaricante, denigratorio, dominato dalla propria consapevolezza di superiorità su qualsiasi altro essere umano, oltre che sui Giganti che, silenziosi, si sottomettono alle sue minacce in attesa di una vendetta orchestrata con pazienza. Se infatti Laurits instaura un rapporto materno, quasi morboso, con la creatura da lui generata, Fjor (Herman Tømmeraas), che tiene adesso le redini della famiglia Jutul, se ne serve per dissetare la sua bramosia di sangue e per vederlo crescere fino a potersi battere con il nemico.

Ragnarok Stagione 2 finale

Nel frattempo continua ad evolversi il rapporto tra lo stesso Magne e Saxa (Theresa Frostad Eggesbø), specchio di quella sua involuzione affettiva ed altruistica che, già nella stagione 2, aveva messo in allarme tutti i fan. La crescente e distruttiva chimica tra la gigante ed il dio, mette in crisi la sua relazione con Signy (Billie Barker), oltre che il rapporto con la madre Turid (Henriette Steenstrup), in procinto di sposarsi, e con gli dei un tempo pronti a combattere al suo fianco, ai quali però, nella parte finale, si aggregano altri due nuovi volti.

Tutta la stagione sembra convergere verso un finale largamente atteso: quello dello scontro, del definitivo conflitto tra bene e male, eppure la produzione sorprende chiunque e regala un ultimo episodio tutto da interpretare, che non solamente rielabora il mito, ma va a mettere in discussione la serie stessa e tutto ciò che, da essa, il pubblico aveva recepito sino a quel momento.

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Da lotta armata a conflitto introspettivo: una questione personale, una questione di famiglia

Gli dei di Ragnarok cinematographe.it

La 3ª stagione di Ragnarok opera un sostanziale stravolgimento: se fino ad ora lo scontro era sempre stato paventato come il punto di fuga di tutto l’intreccio, il focus viene ora traslato di peso verso un introspezione che già era stata riconosciuta ma, apparentemente, solo in funzione di una contestualizzazione che potesse giustificare un appiattimento dello scarto tra l’umano e il divino. Il ribaltamento porta, in pochi episodi, alla percezione opposta: è ora lo scontro, è ora la battaglia ad essere a servizio dell’io del protagonista: il potere che sfida l’affetto, la passione che sfida l’amore, l’illusione che sfida il reale. Il sovrumano Thor arriva all’apice per poi tornare sul fondo, tornare alle origini e a quella sua instabilità attraverso la quale ci era stato presentato; il tutto gli servire per giungere a quel confine desiderato, a quei 9 passi necessari per poter entrare nel suo nuovo mondo e iniziare una nuova esistenza.

Ragnarok – stagione 3: valutazione e conclusione

Per poter valutare rispettosamente la serie ideata da Adam Price bisogna tenere in considerazione due aspetti: da una parte vi è la coraggiosa scelta di spostare il baricentro del racconto, di sorprendere con un finale inaspettato e di sfruttare l’elemento iperrealista per analizzare qualcosa di terreno come la scoperta e la coscienza di sé, dall’altra, però, questo porta ad un depauperamento di tutta la carne messa sul fuoco nel giro di 3 stagioni, con alcuni elementi che vengono privati del proprio valore narrativo e resi sostanzialmente inoperanti, o quasi. La componente direttiva segue la sceneggiatura optando nuovamente per una rappresentazione dell’astratto discutibile nella sua resa, anche se efficace, e mantenendosi fedele a sé stessa, così come la parte interpretativa che conferma alcune interessanti scoperte (come Theresa Frostad Eggesbø e Jonas Strand Gravli) e ci mostra un David Stakston molto più versatile di quello conosciuto sino ad ora, credibile sia nella sua fragilità che nella sua arrogante immodestia.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3