Professor Wolfe: recensione della serie TV Sky

Pur senza colpi di scena, Professor Wolfe sa intrattenere grazie al ritmo e a un pizzico di british humour.

Dal 27 febbraio 2022 in onda su Sky Investigation gli ultimi due episodi di Professor Wolfe, serie televisiva inglese creata da Paul Abbott (già creatore di Shameless) che ci ha tenuto compagnia nelle ultime tre settimane. La serie segue le indagini di Wolfe Kinteh, un professore universitario di scienze forensi che si occupa insieme al proprio team di investigare le scene del crimine. Sei episodi in tutto, sei crimini diversi e, insieme, un unico grande crimine. Accompagna quel pizzico di leggerezza british che sembra non possa mancare in prodotti di questo tipo: quanto più è marcio e putrescente (in questo caso è da intendersi alla lettera) ciò che è mostrato sullo schermo, tanto più si sente la necessità di stemperare i toni ricorrendo al black humour. Il risultato è un prodotto leggero e di semplice intrattenimento.

Professor Wolfe e i suoi fratelli maggiori

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Ma c’è un ma. Mentre guardiamo Professor Wolfe non riusciamo a scrollarci di dosso la sensazione di già visto. Senza scomodare il caposaldo del genere procedural, cioè CSI – Scena del crimine, si potrebbero pescare diversi riferimenti in due serie più recenti: Hannibal e Sherlock. Dal primo prende la parte medica e più cruda, quella legata alle indagini autoptiche sui corpi delle vittime di crimini. Pur ricalcandone la crudezza, a Professor Wolfe manca l’eleganza di Hannibal e il senso che quelle scene avevano nella serie con Mads Mikkelsen, tanto che le immagini cruente qui risultano un po’ troppo gratuite. Appartenente anche allo Sherlock con Cumberbatch e Freeman è invece l’aspetto investigativo di Professor Wolfe (che con Sherlock condivide anche un’attrice, Amanda Abbington), e quella brillantezza di pensiero, quella genialità sopra le righe che connatura tanto l’uno quanto l’altro investigatore e che permette loro di risolvere anche i delitti più intricati. Se anche in questo caso Wolfe Kinteh appare come versione in tonalità minore e decisamente meno riuscita del “fratello maggiore” Sherlock, ciò dipende dalla sceneggiatura che manca di acume e prontezza e di una certa dose di imprevedibilità. 

Trama orizzontale e trama verticale

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Professor Wolfe, si diceva, paga la prevedibilità. Questo è valido soprattutto per la trama orizzontale della serie televisiva. Vorrebbe essere il colpo di scena dell’ultimo episodio, il momento in cui tutti i nodi vengono al pettine e certi errori del passato riemergono senza lasciare scampo. Ed è così, effettivamente, ma il fatto che fin dall’inizio si siano capite le dinamiche tra i personaggi e i moventi che guidano le loro azioni toglie drammaticità a quello che sarebbe dovuto essere il climax della serie. Per cui, prese le misure dei vari attori in campo e delle relazioni tra loro durante il primo episodio, la serie si sgonfia e perde presto il suo fascino. La salva la trama verticale, cioè il fatto che ogni episodio sia auto-conclusivo: crimine, indagine, soluzione; crimine, indagine, soluzione. È uno schema meccanico e sempre uguale nel corso della serie, ma giova al ritmo – se in quaranta minuti devi farci stare crimine, indagine e soluzione non puoi perdere tempo, anche a costo di certe semplificazioni in fase di scrittura – e di conseguenza all’intrattenimento. E tanto basta.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8

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