Noi siamo l’Onda: recensione della serie TV Netflix
Un gruppo di giovani attivisti di un liceo tedesco decide di sfidare il sistema della società attuale. Noi siamo l'Onda è su Netflix dal 1 novembre.
Altro mese, altra corsa: Noi siamo l’Onda è la nuova serie di Netflix, arrivata sulla piattaforma lo scorso 1 novembre promettendo di investirci tutti, ma sarà davvero così?
Se il titolo non vi suona nuovo, innanzitutto, probabilmente siete tra i fortunati che hanno già avuto modo di vedere L’onda, il bellissimo film diretto da Dennis Gansel – che vantava nel cast un acerbo ma già promettente Max Riemelt (Sense8) – e tratto dall’omonimo successo editoriale di Todd Strasser. La pellicola del 2008, come il romanzo da cui è tratto, raccontava l’esperimento sociale della Terza Onda che nel 1967 fu condotto in un liceo di Palo Alto, in California (che nel film si svolge invece nella Germania contemporanea) per spiegare ai giovani studenti come la malleabile e debolissima mente degli uomini, soprattutto i più giovani, sia facile da piegare agli ideali di un leader, finanche ad arrivare all’instaurazione di un regime autoritario come fu quello nazista. Il racconto cinematografico, come le premesse vogliono, ha conseguenze disastrose sia dentro che fuori dal contesto scolastico di appartenenza ma, per paradosso, efficaci per lo spettatore.
Noi siamo l’Onda: di cosa parla la nuova serie di Netflix
A differenza del film, dove gli avvenimenti avevano una natura dapprima endogena, venendo di fatto originati dalle intenzioni didattiche della scuola e dei suoi docenti, la serie tedesca decide di raccontare un movimento tutto nuovo che pone le sue basi all’esterno.
La vita di quattro adolescenti di una cittadina tedesca di periferia, infatti, viene stravolta all’arrivo di un nuovo studente dall’aspetto misterioso e trasandato a cui bastano, però, solo pochi istanti per far trasparire la propria visione, nitida e rivoluzionaria e soprattutto dalla parte dei più deboli. Un incipit che sicuramente non mostra nulla di nuovo ma che proprio per questo motivo non è posto, come logica vorrebbe, all’inizio della narrazione, venendo invece preceduto da una scena fuori contesto, un flashforward – che un po’ ci ricorda anche gli espedienti narrativi di alcune serie made in USA come Le regole del delitto perfetto – già connotato da una nota di suspense che non promette nulla di buono.
Tutto diventa più chiaro quando scopriamo che Tristan, questo è il nome del nuovo arrivato, vive in un carcere minorile con il permesso di lasciare la struttura per frequentare la nuova scuola e i suoi nuovi amici, Lea, Zazie, Hagen e Rahim. Qual è la storia che ognuno di loro non ci sta raccontando?
Prendendo distanze sempre più larghe dai propri coetanei – per i quali i cinque (quattro inizialmente perché Lea, di famiglia benestante, è anche una delle ragazze più popolari della scuola) rappresentano tutti dei reietti, degli emarginati senza possibilità di inclusione – danno origine all’Onda, un movimento attivista che si prefigura come un gioco pacifico dagli ideali profondi. Con le azioni del movimento la serie riesce a spaziare dal più attuale dei temi ecologici al più controverso tema politico e, soprattutto, al problema – purtroppo attualismo – dell’ascesa di nuovi gruppi di matrice neonazista, di cui proprio molti giovani sono ad oggi primi sostenitori. Al centro di questo tema, ultimo ma mai ultimo, emerge ancora una volta quella paura del diverso da sé che caratterizza ancora il contesto corrente e molteplici filoni narrativi, una realtà che altro non è se non lo specchio di una generazione che non sa identificare se stessa perché profondamente danneggiata dalle azioni di quelle precedenti.
Noi siamo l’Onda: tra guardare avanti e guardare al futuro c’è una visione che compromette la narrazione
Se la pellicola di Dennis Gansel descriveva in maniera lineare e pulita l’evolversi e il dipanarsi rapido di una forma simile di ideologia, però, nella serie di Netflix i confini non sono altrettanto ben delineati e si rischia, più e più volte nel corso dei 6 episodi, di non capire l’indirizzo verso cui si muovono i suoi protagonisti. Ciò nonostante, nelle sue sequenze visivamente più potenti, Noi siamo l’Onda trova comunque degli originali spunti di riflessione che ne fanno, anche se spesso a discapito del realismo, un prodotto non del tutto trascurabile.
A svantaggio del realismo perché gli atti di ribellione, le “mosse” della giovane Onda che si susseguono, vanno infatti ad espandersi verso situazioni narrative che, seppur atte a potenziare il messaggio in cuore alla serie, spesso risultano pretenziose e poco credibili. Software in grado di sospendere codici di allarme, parrucche perfette e piani impeccabili per imbucarsi ad eventi politici o in aziende major della produzione di armi sfuggono di mano, vanificando di fatto gli sforzi di riporre nelle mani di una giovane generazione – la stessa di Greta Thunberg, che da mesi è sulla bocca di chiunque – l’urgenza di assumere una posizione forte e percepita come possibile e veritiera di fronte alle azioni che ne compromettono il futuro.
Noi siamo l’Onda: l’idealismo non è un gioco
La conseguenze dirette di questo mancato realismo si ripercuotono indubbiamente sulla linearità della storia dove spesso, per la potenza che la caratterizza, ci lascia dimenticare che siamo davanti a dei “piccoli adulti”, ma pur sempre ancora piccoli. Per questo motivo, quando sentimenti più semplici e naturali riemergono nelle relazioni intime tra i personaggi, la trama appare ancora più frammentata lasciando indietro sviluppi che avrebbero meglio contribuito a costruire la personalità della serie.
Ciò nonostante e pur mancando di una caratterizzazione particolarmente marcata – se confrontata con altri leader femminili della serialità – pare essere proprio il personaggio più stereotipato quello che meglio funge da congiunzione sia nel confronto inevitabile tra la serie e il film, sia nel lasciare che gli elementi anche più contraddittori non gravitino troppo lontani dal corpo della narrazione. Lea, che dal suo incontro con Tristan non può più far a meno di combattere quel benessere a discapito dei deboli che è praticamente la sua condizione naturale, fa sì che la storia ritorni sempre nel bacino dell’ideale pacifista, alla portata dei suoi giovani rappresentanti. La violenza visiva e puramente dimostrativa – nell’ultimo ampio atto della stagione – capovolge quindi le premesse nefaste della serie e ripristina, giusto in tempo, il messaggio che la serie si auspica rimanga nella mente dei suoi spettatori anche al termine della serie TV.