Nine Perfect Strangers: recensione della serie TV con Nicole Kidman

Arriva il 20 agosto 2021 su Amazon Prime Video Nine Perfect Strangers (prodotta da Hulu), la miniserie creata da David E. Kelley e da John Henry Butterworth, con Nicole Kidman – di nuovo insieme, dopo Big Little Lies e The Undoing – Le verità non dette – nei panni di una santona di origine russa che cerca di aiutare nove ospiti della Tranquillum House, un resort in cui guarire dai propri tormenti; è l’adattamento del romanzo Nove perfetti sconosciuti (Nine Perfect Strangers) del 2018 scritto da Liane Moriarty. Gli episodi, otto in totale, escono, dopo i primi tre rilasciati all’uscita della miniserie, di settimana in settimana.

Nine Perfect Strangers: ritrovarsi in un resort per risolvere i propri problemi

Nine Perfect Strangers_Cinematographe.it

I perfetti sconosciuti del titolo sono nove personaggi, sono lì perché bisognosi di trovare un luogo di pace in cui rifugiarsi, per lenire i propri dolori, per leccare le ferite, una sorta di letargo umano in cui rappacificarsi. Trascorrono dieci giorni in un resort di lusso, gigantesco, bellissimo, ma che si rivela essere una prigione dorata per i “pazienti”, Tranquillum House, centro olistico, diretto dalla bella e “spaventosa” Masha (Nicole Kidman), immerso nel verde in cui questi uomini e queste donne portano ciascuno con la propria personalità, il proprio bagaglio di vita, di morte e lavoro, di fallimenti e sconfitte. C’è la famiglia Marconi, composta da padre (Michael Shannon) sempre positivo, capace di mettere da parte uno dei più grandi dolori che un genitore possa vivere, da madre (Asher Keddie), incapace di elaborare il lutto (il suicidio del figlio) e da una figlia (Grace Van Patten) che sembra voler tener lontani i genitori e lo strazio per la perdita del gemello. Ci sono una coppia in crisi (Melvin Gregg e Samara Weaving), una scrittrice fallita (Melissa McCarthy) e un misterioso uomo (Luke Evans) che sembra essere lì più per osservare che per raccontarsi, una madre di famiglia (Regina Hall) che ha vissuto in funzione dei suoi figli, e l’ex stella dello sport, (uno strepitoso Bobby Cannavale), ormai dipendente dai farmaci a causa di un brutto incidente che ha causato la fine della sua carriera. Tra problemi di autostima, chiusure perché è più facile mostrarsi ricchi e famosi che fragili e vinti, lacrime e ricordi, voglia di fuga da una realtà che non è più a loro misura, sperano di ritrovare la forza per rialzarsi e ricominciare a vivere.

Nine Perfect Strangers: l’individuo come ricettacolo di fragilità, disagi e ferite

In quel luogo ameno e “letargico” vivono insieme, costretti a condividere luoghi, situazioni, percorsi – se in passato motore dell’azione, l’incubo, erano rappresentati dall’incedente aereo, dal naufragio che diventano motivo di racconto di un gruppo di personaggi che si mettono a nudo, ora è l’edificio, la Casa, prigione, labirinto da cui è impossibile fuggire – ma ciascuno sembra nascondere qualcosa di strano, un magma difficile da ammettere e forse anche da accettare. Bisogna eliminare, cancellare tutto ciò per cui spesso si vive (cellulari, smartwatch, social network, glorie) per entrare in noi stessi, connettersi con il proprio io invece, fatto di dolore, sacrificio e rimpianti, e non con il mondo. Lo staff lavora per sanare gli squarci interiori di quei personaggi enigmatici, difficili, grazie a sedute di agopuntura, bevande, prelievi del sangue, incontri singoli con Masha che con frasi ad effetto vuole risollevare le esistenze di questi poveri cristi, tristi e soli, disperati e incattiviti. Le attività da lei organizzate sono inquietanti e spesso di una cattiveria inaudita, come se lei fosse una strega invece che una mentore: ad esempio vengono messi in una fossa per simulare la sepoltura simbolo del loro bisogno di morire per poi nascere nuovamente, diversi e purificati come era capitato a lei; ed è per questo che comprende così bene ogni ospite, le sue menzogne, resistenze, chiusure. Quello che forse i protagonisti di questo percorso non sanno è che nulla sarà semplice, anzi, saranno messi a dura prova.

Nine Perfect Strangers: un racconto collettivo, a tratti troppo new age, che non coinvolge totalmente

Il centro è uno solo, persone ricche, in crisi esistenziale per allontanare il caos dalla propria vita, che cercano di avvicinarsi il più possibile ad uno stato di quiete, al benessere suggerito aiutato da candele profumate, centrifughe, laboratori che sviluppano i lati migliori della propria personalità. Nine Perfect Strangers è un racconto collettivo, lento e inesorabile, a poco a poco i personaggi vengono spogliati dalle impalcature, stilemi, costruzioni sociali per entrare davvero nelle loro esistenze, diventando una dissertazione su tematiche dure e tristi, un testo sulla redenzione e sulla rinascita. Questi uomini e queste donno sono fragili, insicuri, troppo concentrati sull’esteriorità perché ciò che c’è dentro fa troppo male, sono sfiancati dalle prove che la vita ha messo loro di fronte, quello che si mette in scena è un panorama infernale i cui protagonisti sono poveri diavoli colmi di difetti, tormenti, infelicità e sofferenza. I nove personaggi funzionano soprattutto quando, costretti a condividere l’esperienza, dialogano, si raccontano e portano ciascuno le proprie diversità, il proprio carattere, la propria visione del mondo

Masha potrebbe essere un figura angelica, volto angelico, infusa di luce divina, di bianco vestita, eterea e quasi divina, una sorta di personaggio salvifico che con la sua esperienza può salvarli dalle pene, ma è anche una figura ambigua, intrisa di enigmi e ricordi difficili da sopportare e da dimenticare. Kidman è capace di catalizzare l’attenzione su di sé ma molto del suo aspetto e di ciò che simboleggia è troppo semplicistico per colpire fino in fondo. Lei è come quelle divinità che tessono le fila della storia, lei grazie al suo “potere” riesce a far “sbocciare” i suoi “adepti”. Punto centrale è la scrittura precisa e dosata: parole, dialoghi, monologhi servono per spiegare i personaggi. A infastidire sono le frasi figlie di una cultura new age, stanca e a tratti addirittura insopportabile, frasi dette per colpire, a risultare riuscito è invece il mondo misterioso che si costruisce di episodio in episodio.

Nine Perfect Strangers: una miniserie a cui bisogna dare del tempo

La miniserie non riesce a colpire fino in fondo lo spettatore; la scrittura e l’interpretazione degli attori sono sicuramente punti a favore ma forse il ritmo e l’atmosfera non sono capaci di rapire fin da subito e completamente chi guarda; per molti versi la miniserie è come il resort, molto bella ma un po’ fredda. Ci vuole del tempo per entrare in questo mondo e ritrovarsi in uno di fragilità, per ritrovarsi di fronte a sé stessi.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.8