Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni – stagione 4: recensione della serie TV su Sky

Mr. Selfridge - Il negozio dei sogni 4, dal 14 giugno 2023 su Sky gli episodi conclusivi della serie tv britannica sull'imprenditore responsabile della creazione di una catena di grandi magazzini dall'enorme successo.

Harry Gordon Selfridge è esistito davvero. Americano, imprenditore, fondatore della catena di grandi magazzini che portano ancora oggi il suo nome (Selfridges) e a Londra rivaleggiano, per ambizione e dimensioni commerciali, con il gigante Harrods. Perdendo, ma a testa alta, si dice così di questi tempi. Harry Selfridge è anche altro; il protagonista di Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni, con la quarta stagione, l’ultima, su Sky a partire dal 14 giugno 2023. 10 episodi, lo sfondo è il 1928, il cuore dei Ruggenti Anni Venti, a un passo dalla catastrofe finanziaria. Con Jeremy Piven, Tom Goodman-Hill, Ron Cook, Katherine Kelly. La serie è creata da Andrew Davies.

Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4: il grande magazzino e chi lo abita

Mr. Selfridge - Il negozio dei sogni cinematographe.it recensione

Nell’eterna partita tra storia e personaggi, Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4 pende decisamente dalla parte dei secondi. E non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze perché, nonostante l’ampiezza del cast e il respiro corale della narrazione, la serie è sempre stata quello che i nostri amici oltreoceano chiamerebbero un one man show. E l’uomo è ovviamente il signor Harry Selfridge in persona, il businessman venuto da lontano (è americano, Londra è il suo terreno di caccia) per fare di Selfridges un’icona del settore grandi magazzini. Eleganza, servizio impeccabile, apertura alle novità. E, dietro le quinte, una certa predisposizione agli scandali.

Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4 comincia con nove anni di ritardo rispetto alle vicende della stagione precedente. Siamo nel 1928, a vent’anni dall’aprtura del primo negozio e Harry Selfridge (Jeremy Piven), spiato da un occhio distratto e superficiale, trasmette l’impressione di godersela senza curarsi troppo delle conseguenze. Le cose non stanno proprio così. Dietro uno stile di vita edonista e un po’ ingenuo, si cela un velo di malinconia e forse qualcosa in più, c’entra tanto la morte della moglie Rose. In famiglia, il legame più forte è con l’anziana madre Lois (Kika Markham), che non potrà esserci per sempre. Capitolo figli: Rosalie (Kara Tointon) ha un matrimonio turbolento, Violette (Hannah Tointon) fa avanti e indietro da Parigi perché il padre lo sopporta, ma a piccole dosi. Il rapporto più complicato, a casa, Harry lo coltiva con il figlio Gordon (Greg Austin), che è ansioso di misurarsi con la sfida di transitare Selfridges nella modernità ma soffre, perché il padre morde il freno e non è disposto a farsi da parte. Per il momento.

Oltre i grattacapi familiari, c’è il lavoro. E il lavoro, per Harry Selfridge – si lascia incantare dal fascino birichino delle sorelle Dolly (Zoe Richards e Emma Hamilton) e questo non lo aiuta a conservare la lucidità necessaria – è lo sforzo costante di arricchire, perfezionare, rinfrescare l’esperienza Selfridges. Lo fa in tanti modi: aprendo un nuovo dipartimento dedicato alle meraviglie tecnologiche per la casa di domani (la radio!), investendo forte sul rapporto con i media, misurandosi in una sorta di bizzarro braccio di ferro professionale con il Rupert Murdoch dell’epoca, Lord Wynnstay (Robert Pugh), magnate dell’editoria cui non dispiacerebbe per niente fare a pezzi Harry. Le scelte del protagonista impattano inevitabilmente su quelle dei dipendenti, la carne e il sangue di Selfridges. Su tutti, la quarta stagione esalta la calma dignitosa del capo del personale Roger Grove (Tom Goodman-Hill), alle prese con una famiglia numerosa, una figlia appena assunta (Lottie Tolhurst) e un segreto pesante. E Lady Mae (Katherine Kelly), tornata a Londra nel bel mezzo di forti difficoltà finanziarie e “salvata”, anche professionalmente, dalla generosità di Harry.

Eleganza, intrattenimento e leggerezza, senza approfondire troppo

Mr. Selfridge - Il negozio dei sogni cinematographe.it recensione

L’ambientazione, il passato come feticcio e oggetto di un culto scrupoloso, la qualità della confezione, la pregevole ricostruzione storica, il senso rarefatto di eleganza che condiziona e attraversa ogni curva della storia; tutto parla di Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4 come di un parente, su scala più modesta ma per niente umile, del trionfo nostalgico e dannatamente aristocratico di Downton Abbey. Con grande naturalezza la serie di Andrew Davies trasporta, sul piano dell’industria dello spettacolo, la logica classista che ispira e modella la società britannica. E sì, è gioco facile definire le avventure di Mr. Selfridge e compagni come la controparte borghese di un discorso più altezzoso e autorevole.

Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4 ha dalla sua una grazia innata che gli consente di non affondare mai il colpo; lo scandalo mai morboso, il dramma che non deraglia su toni e accenti melodrammatici, le risate sempre trattenute, la dignità dei sentimenti. L’eleganza dell’impostazione risparmia alla serie cadute di tono e volgarità, ma toglie qualcosina in termini di forza narrativa e tematica. D’altronde, è il DNA del dramma in costume, modellare storia e atmosfera su coordinate di sofisticatezza che, potrebbero o non potrebbero corrispondere al mood dell’epoca di riferimento, ma certo al pubblico contemporaneo piacciono molto.

La sfida, sul piano narrativo, è armonizzare racconto corale ed esplorazione di una personalità imponente, quale indubbiamente è quella del protagonista. Il filo rosso (tematico) che attraversa il privato e il pubblico di tutti i personaggi è la ricerca. In Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4 tutti e tutte cercano qualcosa: pace interiore, famiglia, un modo dignitoso di dire addio alle persone che ami. Spesso, è il caso di Harry, l’istinto irrefrenabile a muoversi, sempre muoversi, creando, perfezionando, aggiungendo, accumulando, è il riflesso di un’interiorità malandata, di una difficoltà a leggersi dentro, a perdonarsi. Manca una certa visceralità, all’operazione, anche un margine disottigliezza nella definizione delle psicologie. Il paradosso dell’eleganza è uno standard di qualità accettabile, ma anche l’impossibilità di elevarsi oltre un certo limite.

Mr. Selfridge – Il negozio dei sogni 4: conclusione e valutazione

Mr. Selfridge - Il negozio dei sogni cinematographe.it recensione

Se la cava bene, il protagonista Jeremy Piven, con il ritratto sfaccettato di un gigante dai piedi d’argilla capace di creare un impero ma del tutto inadatto a venire a patti con i suoi demoni. La sua carriera si è interrotta poco dopo la conclusione di Mr. Sellfridge – Il negozio dei sogni 4 (la quarta risale al 2016) e riprende oggi a stento, vittima di accuse di molestie sessuali sul set. Una cosa brutta, che lega male con tutto e in particolare con l’intrattenimento leggero e l’eleganza di una serie formalmente pregevole e che si accontenta di galleggiare in superficie. Nostalgia della profondità, ma anche rispetto per l’umiltà e il senso della misura.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5