Manifest: recensione del primo episodio della serie tv

Debutta dal 1° ottobre sul canale Premium Stories la nuova serie prodotta da Robert Zemeckis, Manifest: tra fantascienza e family drama, i passeggeri di un volo diretto a New York, dato per scomparso, tornano dopo cinque anni. Ma loro hanno viaggiato tre ore e non sono invecchiati di un giorno. 

Debutta il 24 settembre negli Stati Uniti, prodotta dall’NBC e poco dopo, a partire dal 1° ottobre, sul canale Premium Stories (disponibile su Mediaset Premium e Infinity): Manifest, mystery drama che si fa accompagnare dal nome prestigioso di Robert Zemeckis, figurante tra i crediti come principale produttore esecutivo (insieme a lui Jack Rapke, usuale collaboratore del regista). Ciò non stupisce, a partire dal fattore fantascientifico di cui Zemeckis è stato esponente divertito, coniugante comedy, avventura, fantasy e thriller, modello e ponte tra i decenni.

L’episodio pilota mette immediatamente le cose in chiaro, indirizzando lo spettatore verso un preciso orizzonte di genere: l’eco di Lost è innegabile, ma più per affinità contenutiste, tanto è ovvio il primato del lavoro di J.J Abrams, la cui innovazione serial-televisiva è ormai da considerarsi storicizzata. Ma il prodotto creato da Jeff Rake, già autore nel 2013 di The Tomorrow People, serie fantascientifica che non ha goduto di particolare successo, sembra voler raccogliere a sé elementi psicologici, per ora rassicuranti, del family drama, prendendo a nucleo protagonista quello di una famiglia americana “media”, tracciandone, seppur debolmente, i caratteri: a spiccare è senz’altro Michaela Stone (Melissa Roxburgh), agente di polizia/eroina che, lo capiamo, fungerà da polo principale narrante attorno a cui orbitano il fratello, Ben Stone (Josh Dallas, Once Upon a Time), la moglie e i due figli gemelli della coppia. A vincere, però, non è certamente la natura catalizzante dei due protagonisti, quanto l’elemento mystery che getta la quest sovrannaturale al centro del nocciolo discorsivo: cos’è successo ai passeggeri del volo Montego 828? 

Manifest mescola elementi sci-fi, thriller e drama 


Il volo, decollato nell’aprile 2013 dalla Giamaica con direzione New York, atterrerà, ma nel 2018. Sono passati cinque anni. A prendere quel volo, Michaela, Ben e il figlio Cal, leucemico terminale. Durante il viaggio, a fungere da unico indizio di quanto possa essere accaduto, una fortissima turbolenza non segnalata dai radar che, addirittura, sembra segnare un incidente fatale. Ma fatale non sarà un disastro mortale, quanto un atterraggio anomalo, cinque anni più avanti, mentre i 190 passeggeri non sono invecchiati di un giorno: solo di poco più di tre ore. Cal, a cui erano stati dati sei mesi di vita, torna a casa senza che la sua malattia sia minimamente avanzata. Ovviamente tutto è cambiato per chi non era salito su quel volo: nuovi disequilibri (tra matrimoni non celebrati, tradimenti, decessi) si faranno portatori dell’elemento drammatico-familiare, contraltare di quello sci-fi/thriller.

Questo primo episodio di Manifest, che può godere della buona regia di David Frankel (Il diavolo veste Prada, Collateral Beauty), sembra concentrarsi su un procedere talvolta frettoloso degli eventi, lo scopo quello di impostare e problematizzare i risvolti dell’accaduto, avanzando con una narrazione puntuale e accattivante, ma tralasciando di curare dettagli e atmosfera, facendone un prodotto estremamente digeribile e poco disturbante, indubbiamente omologato.

Ricerche sperimentali sulla leucemia trovano conferma dopo cinque anni grazie alla dottoressa Saanvi Bahl


Memori della lezione abramsiana, Rake e colleghi instillano l’episodio (a cui sarebbe stato vantaggioso un minutaggio più cospicuo, al netto dei 42 minuti canonici) di riferimenti, allusioni che si propongono di deviare e contemporaneamente far convergere le aspettative dello spettatore: una citazione biblica che è al contempo la frase-mantra della madre di Michaela e Ben, deceduta durante l’inspiegabile iato; voci interiori che paiono assillare i passeggeri, voci buone che vorrebbero guidarli verso la scoperta di verità nascoste che aiuterebbero il prossimo (capacità speciali, super-poteri?); il numero 828 che ritorna al civico di una casa nella quale Michaela scopre una terribile segregazione di minori; un’entità paranormale che sfugge alle indagini ufficiali del governo. Quale sarà il ruolo delle istituzioni? E quale quello di Michaela e Ben, poliziotta e funzionario dei servizi segreti? E le ricerche sanitarie condotte da una passeggera del volo che sembrano aver apportato considerevoli sviluppi nella lotta contro il cancro?
Tante sono le linee direttive dispiegate in apertura di Manifest, mentre la scommessa è quella di non farne un movente banale, né di trascurarne essenziali derive filosofiche e/o metafisiche.

Pur non brillando per aspetti formali, né per scelte di cast, Manifest è in grado di miscelare furbamente un frullatore di richiami, citazioni e caratteri di genere con dimestichezza, seppur facili gli intenti. Sarà compito di uno sviluppo coerente, a richiamare colpi di scena e un andamento tensivo, a confermare o ad annacquare le più che sufficienti premesse.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8