Le Fate Ignoranti: recensione della serie TV di Ferzan Ozpetek

Ferzan Ozpetek torna a dirigere Le Fate Ignoranti dopo più di 20 anni: questa volta racconta la storia di Antonia, Massimo e Michele attraverso l'espediente della serialità.

Si potrebbe dire che le Fate Ignoranti sono tornate. O si potrebbe affermare, con enfasi e non velato orgoglio, che le Fate si sono rinnovate, cambiando molto di quello che conoscevamo e avevamo oramai interiorizzato. Ferzan Ozpetek ritorna a mettere in scena quello che potrebbe essere considerato uno dei suoi film manifesto e che a distanza di 21 anni viene riadattato in formato seriale. Le Fate Ignoranti, prima serie tv italiana commissionata da Disney per la piattaforma Star di Disney+, è disponibile dal 13 aprile, rifacimento del film omonimo dello stesso Ozpetek del 2001. Gli 8 episodi che compongono la serie si rifanno bene o male alla trama filmica, ponendo al centro della narrazione Antonia (Cristiana Capotondi), appena diventata vedova di Massimo (Luca Argentero), morto in un incidente stradale, che cerca di ricostruire la vita nascosta del marito. Dopo la sua morte, infatti, scopre che per più di un anno (prima differenza con il film, in cui erano molti di più) ha avuto un amante. La mancanza di apostrofo non è casuale, perché l’amante di Massimo era Michele (Eduardo Scarpetta): i due si amano, si scoprono, non facendo trapelare la loro passione e la loro relazione adultera. Desiderosa di scoprire il mondo nascosto del marito, Antonia entra a far parte piano piano di quel mondo rarefatto ed eterogeneo, rappresentato dal gruppo di amici e vicini di casa di Michele, che inizia a diventare per Antonia un porto sicuro.

Le Fate Ignoranti e la tematica del doppio

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La narrazione si fonda quasi interamente, soprattutto all’inizio, sulla doppia vita di Massimo e la conseguente scoperta da parte Antonia del mondo artefatto del marito. Il tema del doppio è una ricorrenza semantica non troppo implicita nella constatazione oggettiva della narrazione e dell’estetica: ricorrenti sono gli specchi in cui si riflettono i profili dei protagonisti, ma anche il riferimento all’oggetto dello sguardo onnipresente e spettatoriale, a cui si riferiscono i diversi quadri di cui è disseminata la casa di Michele. 

Le dinamiche diegetiche si dipanano in una continua avversione e attrazione, altro tema fondante della serie: Antonia, in particolare, vive in un limbo reattivo, in cui si esplicita lo spostamento e lo scaricamento emozionale che non la conduce, apparentemente a nulla, se non alla stagnazione delle sue pulsioni emozionali. Il focus della sua azione si palesa essere, fin dall’inizio della serie, Michele: inizialmente come oggetto d’avversione, successivamente come oggetto del desiderio. 

La scoperta di Antonia di questa dimensione pulsionale e archetipica, rappresentata dalla famiglia elettiva, non carnale, rappresenta il vero propulsore al perpetuarsi dell’azione seriale

Al contempo è proprio il gruppo eterogeneo a guidare lo spettatore nella comprensione del passato occulto di Massimo, sospeso in una dimensione a-temporale afferente a quella reale e rappresentata dalla terrazza all’ultimo piano che non permette di vedere cosa c’è al di sotto del palazzo a causa dell’occultamento delle piante. Il tema del mascheramento è la chiave di lettura che necessita Antonia per comprendere i veri sentimenti del marito defunto e, di riflesso, tale dimensione è incarnata proprio dai componenti del gruppo delle Fate Ignoranti, che custodiscono i pezzi mancanti necessari alla protagonista per ricostruire la seconda vita di Massimo che le celava abilmente.

Il gruppo eterogeneo della domenica mattina

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A differenza del film, il gruppo di amici è molto più variegato ed assume un rilievo maggiore rispetto al passato: si è cercato di far emergere maggiormente e distintamente ogni personaggio, dandogli diverse sfaccettature, una storia e un colorito caratteriale che prima, per mancanza di tempo e spazio filmico, non avevano avuto. Ed è così che Luisella si dimostra più irriverente e procace, Serra più invadente ma anche più giudiziosa, ma emergono anche nuove figure, come la coppia lesbica Anna Maria e Roberta, che assumono un rilievo nuovo nella storia e determinano, almeno in parte, determinate sequenze. 

L’impostazione iniziale de Le Fate Ignoranti è sicuramente quella di una commedia drammatica, quello che evidentemente era l’intento principale anche dell’opera filmica dello stesso Ozpetek: mostrare il dramma familiare rappresentato dal lutto per la perdita, ma anche la dimensione della malattia e della piaga dell’Aids, che caratterizzano il piano narrativo del film del 2001. La serie, al contrario, proprio perché più corale – e coreutica – dell’opera iniziale, si carica di una valenza quasi amorfa che indirizza il mood della composizione estetica e linguistica verso quello che potremmo definire un family melodrama all’italiana, dove le dinamiche di coppia si intersecano in quelle più generali del gruppo familiare, seppur acquisito. Questo è enfatizzato anche dal sound design, da non sottovalutare in questo caso perché carica l’azione dei personaggi da una parte di un pathos afferente al piano luttuoso, dall’altro una caricatura dei tipi e costumi propri della società di borgata romana, dove la serie è appunto ambientata. La musica e la canzone, in questo caso specifico, prende “in prestito” due voci forse emblematiche del vivere italiano e che quindi si incarnano maggiormente in una dimensione più attuale e alla portata dell’immaginario collettivo: da una parte Noemi e dall’altra l’intramontabile Mina, che regala – in tutti i sensi – la sua voce al suo grande amico Ferzan Ozpetek. 

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Il risultato è sicuramente una serie dignitosa del suo retaggio filmico, amplificando ancor di più le potenzialità estetiche e narrative, grazie soprattutto alla dilatazione temporale propria del formato seriale, ma incidendo ancora di più grazie ad un connotato da non sottovalutare: la resa dei personaggi è sicuramente centrale nella costruzione scenica. Grazie anche alla recitazione naturalizzata propria di attori quali Eduardo Scarpetta e Cristiana Capotondi, semplici, immediati, non estremamente enfatici e al contempo veri e vivi. La loro interpretazione (in particolare quella di Scarpetta, che dopo aver rodato le sue abilità attoriali in altre serie riesce in questa a calarsi in una dimensione aperta e veritiera grazie alla sua spontaneità) è in grado di portare avanti la narrazione in modo intuitivamente scaltro. Non è tanto la fotografia e la componente visuale, dunque, a connotare la valenza scenica e performativa dell’azione, ma quella dei personaggi che in questa si muovono, quasi annullandola del tutto. Non è molto funzionale, quindi, sebbene la macchina da presa voglia violare e accanirsi sugli interni in cui si consumano tutti i campi e controcampi narrativi, ma funge da palco di ribalta per quelli che sono le vere maschere in campo,  Michele e Antonia, e con loro il corollario attoriale che fa da contorno. 

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.8