La vita dopo la morte – Con Tyler Henry: recensione della docuserie Netflix

La docuserie Netflix oscilla tra scetticismo e speranza con un particolare tono thriller.

Da che mondo è mondo l’essere umano è affascinato dal mistero. Le cose che non conosce, quelle che non vede e che sfuggono a una definizione o a una spiegazione razionale esercitano un potere attrattivo in grado di smuovere montagne. La mitologia prima, la religione poi hanno vissuto e continuano a vivere negli spazi grigi lasciati dalla scienza: si cibano degli enigmi. Solo tenendo a mente questo peculiare aspetto del ‘funzionamento’ dell’umanità si può comprendere il perché di una docuserie come La vita dopo la morte – Con Tyler Henry, dove Tyler Henry è un medium superstar californiano la cui lista d’attesa – il numero serve per quantificare il fenomeno – supera le centinaia di migliaia di persone.

La docuserie Netflix oscilla tra scetticismo e speranza

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Netflix ha deciso di puntare su Tyler Henry per costruire un prodotto di facile intrattenimento e di sicuro impatto emotivo. Le premesse non esistono: tutti sanno chi è il protagonista e che cosa fa, e quello che manca viene fornito a spizzichi nel corso della serie. Nemmeno il mestiere del medium viene sviscerato se non attraverso la dimostrazione pratica di Henry. E del resto come si fa a spiegare il mistero, ciò che non è tangibile e razionale? La docuserie non ci prova nemmeno. Preferisce oscillare tra due estremi, e questo vale sia per lo spettatore sia per le persone che sono oggetto delle letture di Henry: lo scetticismo e la speranza. Il primo è quasi fisiologico, e va rispettato. La vita dopo la morte fa poco per convincere lo spettatore della veridicità delle azioni e delle parole di Henry. Si affida semplicemente a lui, al suo carisma, alla sua semplicità. Possiede una rara capacità di entrare in empatia con chi ha di fronte e questa dote è un tassello fondamentale per alimentare la speranza, secondo estremo che la docuserie tocca. La speranza di poter davvero sfiorare quello che c’è al di là, di poter davvero avere un contatto con chi non c’è più. Nonostante lo scetticismo, siamo spinti – dai gesti e da parole e silenzi – a condividere quella speranza, tanto da non riuscire a rimanere indifferenti al carico emotivo che un reading di Tyler Henry comporta a chi ne è invischiato.

Doppio binario

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I nove episodi di La vita dopo la morte – Con Tyler Henry seguono senza grosse deviazioni un unico canovaccio. La componente medium è solo una parte, ed è solitamente posta in apertura e in chiusura degli episodi, che spesso terminano con dei cliffhanger. L’altro binario lungo il quale corre la docuserie ha meno a che fare con le capacità da medium di Henry, ma funziona altrettanto bene. Non vi toglieremo il gusto di scoprire di che si tratta – diremo solo che riguarda una questione familiare -, ma ci limitiamo a sottolineare certe vibrazioni thriller che emana questo altro lato di La vita dopo la morte – Con Tyler Henry. Se cozzano con le atmosfere quasi lisergiche di certi reading di Henry, queste tinte thriller danno tuttavia ritmo e un certo fascino più terra terra – volevamo dire ‘razionale’, ma sarebbe suonato canzonatorio – alla docuserie.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

2.9

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