Il Nome della Rosa: recensione della serie tv Rai

La recensione dei primi due episodi della serie tv Il Nome della Rosa, in oda su Rai Uno a partire dal 4 marzo alle 21.15, per 4 serate e e per un totale di 8 episodi.

Si tratta sicuramente dell’operazione più ambiziosa creata dalla RAI da moltissimo tempo a questa parte e ci dirà se l’Italia è in grado di produrre qualcosa che conquisti in modo reale e decisivo il mercato straniero.
Stiamo parlando della serie tv Il Nome della Rosa, tratta dall’omonimo romanzo storico del grande Umberto Eco scritto nel 1980, sicuramente uno dei più importanti del XX secolo, già portato con enorme successo sul grande schermo da Jean-Jacques Annaud, con il mitico Sean Connery nei panni del sagace Guglielmo da Baskerville. Ora, prodotto da RAI FICTION e Tele Munchen Group, per la regia di Giacomo Battiato, ecco arrivare una serie composta da otto puntate, con un cast stellare che si muove sui passi di un sentiero narrativo studiato dallo stesso Battiato con Andrea Porporati, Nigel Williams e quel John Turturro chiamato ad interpretare il celebre frate-detective.

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Il cast comprende attori stranieri come Rupert Everett, Micheal Emerson, Damian Hardung, Sebastian Koch, James Cosmo, Richard Sammel, Benjamin Stender, Tchéky Karyo e Piotr Adamczyk, così come divi italiani del calibro di Fabrizio Bentivoglio, Alessio Boni, Greta Scarano, Stefano Fresi, Roberto Herlitzka, Antonia Fotaras, Corrado Invernizzi, Maurizio Lombardi, Leonardo Pazzagli e Fausto Maria Sciarappa.

Il Nome della Rosa: John Turturro è un Guglielmo da Baskerville più umano e sotto le righe nella serie tv Rai

Questa versione de Il Nome della Rosa parte sicuramente con la pesantissima eredità del film di Annaud, una vera e propria perla ancora oggi ricordata per la straordinaria performance dell’ex 007 Sean Connery.
Naturale e spontaneo creare un confronto con il Guglielmo interpretato da un John Turturro che, non possedendo uno charme e un carisma paragonabili al James Bond per eccellenza, opta in modo saggio per un ritratto più umano, sensibile e sotto le righe.
Il suo Guglielmo da Baskerville è un uomo curioso, riflessivo, di cui ne viene sottolineato in modo molto più marcato il grande intelletto, l’intuito geniale e la visione politica, permeata da una sostanziale fiducia nell’uomo e nelle sue qualità.
Ma, in modo sorprendente e senz’altro azzeccato, questa versione de Il Nome della Rosa guida lo spettatore in quello che è un vero e proprio viaggio nella prima metà del XIV secolo, fuori dalla sinistra abbazia dove Eco creò il suo meraviglioso e terrificante racconto in cui morte, sogni, cultura e politica si fondevano.

La ricostruzione storica in Il Nome della Rosa: un Medioevo che è anche sperimentazione

Il Nome della Rosa Cinematographe.it

Il Nome della Rosa vive infatti di una grande attenzione non solo per le misteriose e sanguinose morti che portano Guglielmo e il giovane discepolo Adso di fronte a enigmi e pericoli, ma anche per il mondo che circonda quelle fredde e bianche mura dentro le quali monaci misteriosi e sovente tormentati creano capolavori miniati.
Vi è infatti tutta la violenza di un mondo scosso dal confronto tra Papa ed Impero, tra quella Chiesa ricca, opulenta, fanatica che viaggia sui vessilli del cupo e folle Bernardo Gui (un cattivissimo Rupert Everett) e quella umana, parca e virtuosa sognata da San Francesco.
Vi è la dimensione quotidiana e miserabile del popolo minuto, dell’uomo qualunque.
Battiato decide anche di riportare alla luce la triste e gloriosa vicenda di frate Dolcino, il francescano che già Dario Fo nel suo Mistero Buffo aveva nobilitato ad esempio di coraggio e virtù nel suo inseguire l’uguaglianza tra gli uomini.
Un viaggio dentro un’era, un’immersione nella mente e nella visione del mondo da parte di quell’umanità di cui sovente abbiamo avuto un’immagine molto pregiudiziale e viziata da un Medioevo descritto in modo generico come esclusivamente barbarico e arretrato.

Invece, grazie alla straordinaria fotografia di John Conroy, ai costumi di Maurizio Millenotti, e alla scenografia di Francesco Frigeri, Il Nome della Rosa è vera e propria gioia per gli occhi, caleidoscopio di ombre, luci e colori, capovolgendo la visione cupa, gotica, paurosa di Annaud.
Questo invece è il Medioevo di Giotto, Francesco da Rimini, Cimabue… fatto di luce, umanità, sperimentazione, di scoperta di nuove prospettive, di una visione del mondo lontana dall’angoscia e dall’idea di un Dio apocalittico e sanguinolento.

Resiste tuttavia ne Il Nome della Rosa anche la pesante e terribile eredità di quell’Inquisizione che per secoli avrebbe tormentato le donne, i diversi dalla norma, trasformato il Dio dell’amore nel Dio del rogo, della tortura, della paura.
Battiato non risparmia nulla allo spettatore da questo punto di vista, girando però il testimone all’uomo, alla temporalità politica della Chiesa che resero il libro di Eco uno straordinario atto d’accusa contro l’ipocrisia dei seguaci di Pietro.
Ma è un’accusa verso la religione, mai verso la fede, verso gli uomini che la interpretano, non verso i nobili principi di carità e mutuo soccorso che la compongono.

Il Nome della Rosa: un cast perfetto e una regia impeccabile per la serie tv tratta dal romanzo di Umberto Eco

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La sceneggiatura scritta a quattro mani approfondisce e dona maggior importanza a diversi personaggi, si prende diverse coraggiose licenze dal testo originale di Eco, ma sempre con grande coerenza.
Il tutto viene valorizzato da un cast che si muove con grande coralità e perfetto equilibrio, messo in risalto da una regia tutt’altro che monocorde di Battiato.
Tuttavia a volte il tono, la messa in scena, strizza in modo un po’ troppo appassionato l’occhio a certe atmosfere melò della fiction nazional popolare italiana.
La parte inerente a fra Dolcino su tutte. Per ora dal punto di vista emotivo, l’insieme risulta un po’ freddo, forse anche a causa di una parte musicale di Volker Bertelmann non molto appassionante. Ma si tratta di difetti che potranno essere sicuramente rimediati nel proseguo di un iter seriale che ha senza ombra di dubbio delle potenzialità enormi, che scaccia retorica e buonismo, che si erge a perfetto esempio di quei prodotti televisivi che il nostro paese (il più ricco di storia del mondo) dovrebbe vedere come normalità e non come eccezione.

Ora non resta che vedere quale sarà la risposta del pubblico a questo Il Nome della Rosa, e per una volta è giusto intendere il pubblico internazionale, non quello italiano.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

3.5

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