Harry e Meghan: recensione dei primi tre episodi della controversa docu-serie Netflix

Da giovedì 8 dicembre disponibili i primi tre episodi del documentario di Liz Garbus su Harry e Meghan. Ecco la nostra recensione (senza sconti).

Harry e Meghan continuano a piagnucolare in un documentario che, nel segno dell’autopromozione, non rivela nulla di nuovo su di loro (e meno male) e non farà tremare Buckingham Palace, ma ritorna pigramente alla narrazione agiografica e autovittimizzante che il Duca di Sussex e consorte, dal loro dorato autoesilio californiano, stanno portando avanti già da un po’. Senza alcun senso del ridicolo.

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Narcisismi in libertà nel documentario in sei episodi diretto da Liz Garbus e fortemente voluto dai Duchi di Sussex Harry e Meghan – ex attrice losangelina, nota soprattutto per Suits – per ripristinare “la verità, a loro dire alterata, per screditarli, dai media britannici con il tacito assenso della famiglia reale, sulla loro relazione e le loro esistenze disallineate al protocollo. C’entrerebbe pure il razzismo, perché lei ha ascendenze afroamericane.

Eppure, “la verità” tanto strombazzata non sembra essere il principale obiettivo di nessuno dei due protagonisti della serie, a meno che non siamo tanto ingenui da credere che possa esistere una “verità” oggettiva, restituibile senza che sia stata prima mediata dalle singolarità e dalle distorsioni che l’ego opera sul reale. La realtà è sempre realtà percepita, assorbita, elaborata e rimodulata. Non esiste una verità che possa fare a meno di una narrazione e, pertanto, di un margine di contraffazione, di manipolazione del reale attraverso il linguaggio che, per sua natura, non può restituire mai le ‘cose come stanno‘.

Harry e Meghan, entrati in contatto grazie a un’amicizia comune, s’innamorano via Snapchat

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Prince Harry and Meghan, The Duke and Duchess of Sussex. Courtesy of Prince Harry and Meghan, The Duke and Duchess of Sussex.

Il linguaggio di Harry e Meghan si rivela particolarmente zuccheroso e non ricusa le frasi fatte: ci pare brutto segno, inconciliabile con il tentativo di approssimarsi – altro non è possibile fare – alla “verità“. I due dovrebbero, inoltre, sapere come funziona la società dello spettacolo e dell’autorappresentazione – un antidoto alle rappresentazioni solo subìte dei mass media, a loro avviso crudeli nei loro riguardi – in quanto primi fruitori delle piattaforme social: non è un caso, infatti, che lui si sia interessato a lei vedendo un suo video creato grazie a Snapchat, che le ha permesso di impreziosire la sua immagine di buffe orecchie penzolanti da cane, e lei, prima di accettare di frequentarlo, abbia spulciato per bene il suo feed Instagram, tirando un sospiro di sollievo di fronte alle “bellissime fotografie di stampo ambientalista” che vi ha trovato. Harry doveva essere per forza una brava persona se ha riempito il suo account di foto di safari in Africa e di maestosi elefanti.

Harry e Meghan raccontano la loro “verità“, ma quale verità?

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La “verità” – una delle parole-feticcio, insieme a libertà, della serie – di cui Harry e Meghan si fanno alfieri e cui sacrificano pure il pudore e l’intimità (di cui, però, li avrebbero privati gli stessi media che loro utilizzano e cui democraticamente accedono per poter confezionare il loro contro-ritratto), altro non è se non la pretesa di assumere il controllo sulla propria rappresentazione: se i media li hanno dipinti in un modo, loro offrono il loro, così da bilanciare quel che percepiscono come un danno d’immagine. Non ci sarebbe alcun bisogno di quel contro-ritratto, tanto più affidato a una serie prolissa, di discutibile gusto, con cui affollare il già pletorico catalogo Netflix, ma evidentemente i Duchi di Sussex si reputano due soggetti interessanti, con qualcosa da dire o con amici – tanti i loro contributi – che hanno a loro volta molto da testimoniare. Ebbene, dovrebbero rivedere tale persuasione.

Dai primi episodi – la seconda parte, compresa di altri tre episodi, sarà disponibile dal 15 dicembre 2022 –, l’impressione che ricaviamo è di trovarci di fronte a due ragazzoni piagnucolosi, che blaterano come dischi rotti, cresciuti senza alcun contatto con la realtà e ostinatamente chiusi in una bolla – bulla, ci si perdoni il gioco di parole – autoindulgente: il cielo sopra la loro dimora di Montecito, un’oasi di pace, è striato di rosso e il bambino esclama “beautiful!“; le loro serate sono tranquille, e c’è sempre tempo per raccogliere delle rose rigogliose che somigliano a peonie; dalle vetrate della sala entra una luce abbacinante.

Lui ha scelto lei perché somiglia alla madre scomparsa troppo presto: è “compassionevole“, “empatica“, “piena di calore. Non sembra esserci alcuno spazio per termini che evochino complessità, per il chiaroscuro, per la screziatura: se la coppia soffre ed entra in conflitto, non è mai per ragioni interne, ma per il mondo brutto e cattivo là fuori – di cui la famiglia di lui è parte, attiva o passiva che sia – che perseguita e minaccia la perfezione dell’idillio. I due, al terzo appuntamento, se ne sono andati in Botswana, esponendosi alla reciproca presenza ventiquattro ore su ventiquattro: una scommessa vinta di quello che è definito “un grande amore“, piombato sulle loro vite come “un colpo di scena. Lei, conclusa una relazione da due mesi, voleva godersi le amiche e la libertà, aveva programmato dei viaggi, ma un principe le ha scombinato piani. Che disdetta. I due vogliono farci sapere che l’amore li ha sorpresi e stravolti e che un simile miracolo va protetto. Il contatto fisico, tra loro, non manca, a sottolineare didascalicamente l’affiatamento, la complicità.

Dal sonoro al linguaggio infarcito di cliché, tutto stucca (e stroppia) nella serie TV Netflix, tripudio del narcisismo di coppia

Il sonoro incornicia di un trasporto struggente i frammenti dell’autoincensazione: tutto, in questa operazione simpatia, appare forzato, su di tono. Dov’è finito l‘understatement britannico? E, soprattutto qual è il loro problema? Si scopre presto che il punto della rivendicazione è che gli esponenti della famiglia reale britannica sono accettati solo nella misura in cui restituiscono un’immagine gradita: i loro privilegi sono pagati al prezzo della sottrazione di molte libertà. Eh, sì. Caschiamo dalla sedia, vorremmo protestare: “Meghan e Harry, raccontateci qualcosa di nuovo, qualcosa che non sappiamo, please“. I duchi di Sussex, sfacciatamente ricchi e innamorati, non devono chiedere scusa per quello, ci mancherebbe.

Ma stuccano (e stroppiano) quando si ostinano a rimarcarlo – perché mai ne sentono il bisogno? -, a cullarsi nelle loro manie persecutorie e a pretendere che la vita non costringa a dover cedere nulla, quasi che la realtà debba somigliare al loro buen retiro, da cui sono schermate tutte le possibili incongruenze e imperfezioni. Forse, sarebbe il caso iniziassero a godere delle rose del loro giardino prendendo in considerazione l’ipotesi che questo possa non essere il centro dell’universo. In nessun momento, Harry e Meghan si solleva al di sopra dell’ombelico dei protagonisti da cui prende il nome, un microbrand indipendentista – ma non, ci sembra, fino alle estreme conseguenze della responsabilità che comporta ogni atto libertario – all’interno del macrobrand della famiglia reale inglese. E allora sarebbe il caso, soprattutto, che noi, per primi, cominciassimo a ignorarli. Magari, fuori dal fuoco dell’attenzione, troverebbero pace. O anche solo un’identità nuova, finalmente emancipata dalle insegne blasonate della famiglia di lui, libera dal dover-essere imposto ai royals. Smettere di fare le marionette e le icone della Casa Reale non è, in fondo, tutto ciò che chiedono? Accontentiamoli. L’anonimato non può che far loro bene.

Harry e Megan è composta da un totale di sei episodi. I primi tre sono disponibili su Netflix dall’8 dicembre, mentre gli altri saranno disponibili a partire dal 15 dicembre 2022.

Regia - 1
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 1
Sonoro - 1
Emozione - 1

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Tags: Netflix