Gen V – stagione 2: recensione della serie TV Prime Video
Gen V, l'amata serie spin-off dell'universo The Boys, torna su Prime Video con una seconda stagione!
Anche per i supereroi della Godolkin University è tempo di ritorno a scuola. Gen V, la serie spin-off dell’universo di The Boys torna su Prime Video a partire dal 17 settembre 2025, debuttando con i primi tre episodi. Con la seconda stagione, Gen V riprende le fila del mondo di The Boys, ma lo fa con nuovi ritmi e con un carico emotivo decisamente più elevato. Se la stagione d’esordio ci aveva introdotto alla Godolkin University come una sorta di X-Men Academy, qui il tono cambia nettamente. La God U non è più solo il campo di battaglia per giovani super che cercano gloria o identità: ora è un epicentro instabile, attraversato da forze più grandi e da ferite ancora aperte.
Con la stagione 2 Gen V cambia registro!

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Alla fine della prima stagione, avevamo lasciato i protagonisti nel caos più totale: una scoperta scientifica devastante (il Super Virus), le prime vere divisioni ideologiche tra gli studenti e soprattutto, la consapevolezza che la Godolkin non è affatto una scuola “di formazione”, ma un vero e proprio campo di addestramento.
La seconda stagione prende il coraggio di spingersi in territori più maturi di quelli di un semplice young adult, mettendo al centro temi come le conseguenze delle proprie azioni, il lutto delle persone a noi care, le scelte sbagliate fatte in buona fede e la consapevolezza dei propri limiti. Questo vale in primo luogo per la nostra protagonista Marie Moreau, che si conferma una protagonista solida. Se nella prima stagione la sua storia era legata al trauma e al bisogno di trovare un posto in un sistema marcio, ora la vediamo affrontare un dilemma più profondo: può davvero essere parte di quel sistema? Oppure finirà per subirlo, o peggio, replicarlo? Marie torna alla God U spinta dal desiderio di giustizia, di conoscenza, mettendo in gioco i propri dilemmi morali. La giovane attrice Jaz Sinclair la interpreta con una forza trattenuta che esplode al momento giusto, mantenendo sempre una certa tensione che tiene in piedi molte delle scene più intense.
Accanto a lei, Cate diventa il personaggio forse più controverso e interessante. Quella che all’inizio sembrava una figura secondaria, affascinante ma problematica, prende qui il ruolo di una vera e propria antagonista morale. Non c’è una semplificazione, però. Cate è combattuta e il suo character development la rende molto più di una semplice “cattiva”. Il suo modo di usare il potere mentale diventa simbolico: è persuasione, manipolazione, ma anche un modo per esplorare quanto siamo disposti a giustificare le nostre azioni in nome di un bene più grande.

In questa seconda stagione, anche il personaggio di Emma non viene lasciato più “in panchina”. Dopo la rottura dell’equilibrio alla fine della prima stagione, Emma si ritrova a fare i conti con una solitudine diversa: quella che nasce quando nessuno sembra più sapere chi sei veramente, nemmeno noi stessi. Le sue relazioni cambiano, i suoi legami più forti si allentano o vengono messi alla prova, e per la prima volta Emma è costretta a capire se può bastare a se stessa, senza appoggiarsi costantemente agli altri per validarsi. Anche il personaggio di Jordan entra in campi più complessi. Un personaggio che grazie al suo potere (quello di passare da un corpo maschile ad un corpo femminile) incarna un punto fondamentale nel mondo di Gen V: Jordan incarna alla perfezione non solo il tema della questione di genere, ma anche quello della lotta continua tra visibilità e accettazione, in un mondo che vuole incasellarti, anche se hai superpoteri. In mezzo a superpoteri, complotti, violenza e satira sociale, Emma e Jordan portano avanti la linea emotiva più vera della serie. Non quella degli eroi o dei rivoluzionari, ma quella delle persone che vogliono semplicemente essere viste per quello che sono, senza essere sfruttate, cancellate, o tradite da chi dice di volerle proteggere.
Il villain di Hamish Linklater è la grande novità di Gen V – stagione 2

La grande novità della stagione è l’entrata in scena di un villain molto particolare, Dean Cipher, interpretato da Hamish Linklater, personaggio che aggiunge una dose di minacciosa ambiguità. Cipher appare subito come un personaggio magnetico, educato, controllato, eppure innegabilmente pericoloso. Non è un villain urlato o teatrale alla Patriota (Homelander): è il tipo di potere che sorride mentre ti osserva crollare. Ed è proprio questo che lo rende così efficace. La sua introduzione cambia radicalmente l’equilibrio del campus, e la sua presenza è il segno più evidente che il mondo di Gen V si sta preparando a una fase molto più cupa e definitiva.
L’assenza di Chance Perdomo

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L’assenza di Chance Perdomo, interprete del personaggio di Andre Anderson, è una delle ombre più forti e silenziose che attraversano la seconda stagione di Gen V. Andre era uno dei personaggi principali della prima stagione: brillante, tormentato, figlio di un eroe (Polarity), e combattuto tra la lealtà verso il padre, i suoi amici e la propria coscienza. La sua storyline era in piena evoluzione e tutto lasciava intendere che nella seconda stagione avrebbe avuto un ruolo centrale, soprattutto per il rapporto con Marie, con Cate e per il tema del lascito generazionale.
La showrunner della serie Michele Fazekas ha preso la giusta decisione di non forzare un re-cast del personaggio, affrontando la morte di Andre nella serie con rispetto, intelligenza e sobrietà: non ci sono lunghi tributi né episodi celebrativi, ma l’assenza è avvertita nei silenzi, nei vuoti, nei rapporti spezzati. Non si fa finta di niente. Alcuni personaggi, in particolare Emma e Marie, portano sulle spalle il peso emotivo e narrativo della sua mancanza. Andre era un personaggio che fungeva da ponte: tra Marie e gli altri, tra generazioni, tra impulso e ragione. Senza di lui, il gruppo si frammenta di più. Le alleanze sono più instabili, le emozioni più incontrollate. In un certo senso, la sua assenza acuisce proprio il tema centrale della stagione: la perdita di un punto fermo.
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L’assenza di Andre peserà molto anche sull’arco narrativo di Polarity: un ex-supereroe ormai disilluso, ma ancora influente. Un classico genitore-ombra, autoritario e ambizioso, cosa che nella prima stagione ha profondamente segnato il proprio rapporto, fatto di silenzi e pressioni. Con la perdita di suo figlio, Polarity cambia radicalmente: non è più una figura arrogante e carismatica, ma un padre spezzato dal lutto e disorientato. Polarity non elabora il lutto, ma lo gestisce a modo proprio, come se fosse un problema da contenere. Questo lo rende ancora più tragico: non riesce a vivere il dolore come dolore, lo trasforma in strategia, in controllo, in silenzio.
Gen V – stagione 2: valutazione e conclusione

Dal punto di vista tematico, Gen V stagione 2 si sposta più vicino alla sfumatura politica di The Boys. La linea che separa ciò che è giusto da ciò che è utile si fa sempre più sottile e l’ombra di Patriota è ovunque, anche se non sempre in primo piano. Il suo impatto sulla società, sulla politica, sulla percezione pubblica del potere è palpabile. La serie in questo modo, allarga lo sguardo. Non è più un semplice dramma universitario con superpoteri, ma diviene una riflessione su come si cresce in un mondo che ti insegna a vincere, anche a costo di perdere te stesso. La seconda stagione di Gen V è un notevole salto di qualità, si allinea all’universo narrativo di The Boys in modo imperfetto ma ambizioso, reggendo anche il peso delle sue scelte più audaci.