Fascino fatale: recensione della serie ‘erotica’ su Netflix

Netflix aggiunge al catalogo l’ennesimo show fondato sulla formula eros più mistero, ma di erotico e misterioso Fascino fatale non ha nulla. Non azzarda nessuna ipotesi sul sesso, estetica o narrativa, rivelandosi soltanto un prodotto algoritmico, di quelli contro cui è giunta l'ora di armare resistenza.

Nell’introduzione al primo episodio di Fascino fatale, mentre un uomo e una donna dai corpi statuari si avvinghiano e si contorcono per il piacere, tra gemiti e sospiri, una suadente voce fuori campo ci ammaestra: “il sesso non è la droga di passaggio per l’amore, ma una passione, un bisogno primario, una pulsione“.

Dichiarazione di intenti fin dai primi frame di Fascino fatale, serie sudafricana disponibile alla visione da qualche giorno: in questa storia che vi raccontiamo, sembrerebbero avvertirci gli autori, il sesso non è una questione romantica. Né sembrerebbe, a dar retta al racconto scenico negli episodi che seguono il disclaimer, neppure una questione di relazione. Quasi che la protagonista Nandi, professoressa universitaria di criminologia, il cui principale interesse accademico è la violenza di genere, usi il giovane Jacob, incontrato durante una breve vacanza con la sua migliore amica Brenda e poi scoperto allievo del suo corso, per scaricare la tensione energetica che non trova più meta soddisfacente nel suo partner ufficiale: il marito Leonard, con il quale ha appena perso un bambino e del quale ha appena scoperto l’affaire con la giovane assistente Ameera. Ma viversi la parentesi extraconiugale si fa per lei complicato quando Brenda, dopo il weekend trascorso insieme, viene ritrovata morta.

Fascino fatale: non un thriller erotico, ma un anti-thriller ormonale

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La protagonista Nandi è interpretata da Kgomotso Christopher, attrice sudafricana classe 1979.

Del sesso crediamo di sapere tutto, perché è un fatto empirico, un’esperienza attraverso cui nella vita generalmente si passa e che della vita diviene parte integrante. Ma che cos’è davvero il sesso, in sé? Se lo chiede, ad esempio, la filosofa slovena Alenka Zupančič in uno dei suoi saggi più apprezzati: diversamente dagli animali, che non sanno di non sapere nulla sulla sessualità e quindi non sono ‘inceppati’ dalla loro ignoranza, gli uomini, inseriti nella ‘cultura’, vivono la sessualità problematicamente, non sono guidati ‘naturalmente’ verso di essa. E, anzi, la sessualità scaturisce proprio dal fallimento pulsionale: le pulsioni parziali non trovano più soddisfazione infantile, masturbatoria, ma falliscono e incontrano la mancanza. Nell’incontrarla, la mancanza, si aprono all’altro, instaurano una relazione con l’altro, con tutti i problemi che ne conseguono, perché l’altro per definizione è imprevedibile, ci sfugge. La fusione con lui (o con lei) è impossibile.

In Fascino fatale, l’incontro tra Nandi e Jacob non ha nulla di sessuale, al di là del tanto sesso che i due plasticamente, calligraficamente, ginnicamente fanno, sbattendocelo in faccia: la protagonista gode – scarica? – attraverso di lui e lui (forse) attraverso di lei. L’esperienza non assume, tuttavia, un carattere spiazzante, e quindi autenticamente sessuale, perché resta, in fondo, nell’ambito del controllo autoerotico. Per questo, a dispetto di ogni apparenza, Fascino fatale non è un thriller erotico, ma un (anti)thriller ‘ormonale’, uno show privo di tensione – non vi è infatti né sviluppo né attesa – di corpi senza inferenza di menti, un’opera in cui la sessualità è rappresentata come un fatto da sbrigare meccanicamente: non a caso, l’eccitazione sembra manifestarsi quale fenomeno non più solo occasionale, ma esordio di una dipendenza, quando Nandi vede Jacob ruotare una chiave a brugola con leva per stringere le viti di un pneumatico a terra. Il giovane bellimbusto sistema la macchina e così elettrizza la professoressa non più giovanissima i cui pruriti sono rimasti a lungo insoddisfatti. Una visione un po’ troppo riduttiva perché si possa parlare di erotismo o addirittura scomodare la parola desiderio.

Fascino fatale: conclusione e valutazione

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 Prince Grootboom è un attore sudafricano nato nel 1999: nello show interpreta il misterioso Jacob.

Fascino Fatale non apporta infatti nessun punto di vista nuovo sul sesso, non cerca in nessun modo, attraverso i suoi strumenti – la drammaturgia, l’immagine –, di costeggiarne il mistero. Non sembra inoltre nutrire nessun interesse per le psicologie dei protagonisti, quanto unicamente per gli elementi esteriori: la fisicità degli attori, gli ingranaggi della trama. Entrambi questi elementi risultano scorporati da tutto il resto: si stagliano su uno sfondo inerte per suscitare una reazione ‘chimica’ in chi guarda, un sommovimento elettrico che, però, dura un palpito e poi immediatamente cede al sopore – l’unica cosa “fatale” in questo show – da inconsistenza narrativa ed estetica. La componente thrilling, come anticipato, non è pervenuta: la tensione non cresce per mezzo del climax, non è lavorata ritmicamente, attraverso espedienti sospensori. Semplicemente, banalmente non c’è.

L’ambientazione sudafricana è barattatile: le determinanti socioculturali non interagiscono mai con i moventi intimi da cui i personaggi dovrebbero essere agìti, moventi che, del resto, scivolano via inesplorati. Fascino fatale dimostra così di appartenere a quella classe di prodotto algoritmico e pseudoscabroso su cui Netflix sembrerebbe puntare molto per fare cassa, ma che, sebbene contro ogni evidenza numerica di segno contrario, ci viene difficile di pensare possa coinvolgere autenticamente qualcuno. Sarebbe giunta anche l’ora di armare una piccola resistenza perché queste operazioni commerciali non passino più per innocui passatempi, ma vengano riconosciute nella loro vuotezza artistica e nella loro volgarità di forma. Facciamo così: cominciamo noi, bastonando con i voti.

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Regia - 1
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 1
Recitazione - 1
Sonoro - 1
Emozione - 1

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