False Flag – stagione 2: recensione della serie Fox

La recensione della seconda stagione di False Flag, serie israeliana campione d’incassi che arriverà su Fox dal 21 maggio.

In gergo militare, il termine “false flag“ si riferisce a quelle operazioni condotte dagli agenti segreti in modo che la responsabilità ricada sugli agenti di un altro paese. Un termine da tenere bene a mente durante la visione dell’omonimo show creato da Maria Feldman, rarissimo esempio di serie non americana o nord-Europea, ma di produzione israeliana record d’ascolti nel paese d’origine, a sbarcare sui nostri schermi, acquistata dalla Fox per una distribuzione in più di 120 paesi. False Flag (“Kfulim” nell’originale israeliano) è innanzitutto una serie sull’identità, a cui va riconosciuto, quale punto di forza, la profondità delle domande che vengono poste su chi siano veramente le persone di cui seguiamo le vicende sullo schermo, quali segreti abbiano e quali relazioni coltivino.

La serie arriva su Fox a partire dal 21 maggio.

False Flag 2: la serie israeliana campione d’ascolti che arriva su Fox

False Flag 2, cinematographe.it

Anello di congiunzione tra prima e seconda stagione, la figura dell’investigatore Eitan Kopel, agente taciturno e tormentato del Mossad (nome con cui vengono genericamente indicati i servizi segreti israeliani) che ha i tratti di Mickey Leon. Se nella prima stagione, cinque cittadini israeliani (tutti con doppia nazionalità) vengono accusati ingiustamente del rapimento del ministro della difesa iraniano a Mosca, nei nuovi episodi, presentati in anteprima al Festival di Berlino e in onda ogni martedì su Fox, l’investigatore dovrà capire se il caso su cui sta indagando – l’attacco terroristico a un oleodotto fra Turchia e Israele – è davvero quello che sembra.

Anche in questo caso alcune persone comuni – che si sono rivelate non così comuni – vengono identificate come sospettati del crimine, che ha comportato la morte dell’ambasciatore turco e di diversi membri del governo e una nuova tensione nei rapporti tra i due stati coinvolti. Sulla lista dei sospettati troviamo Amir (Yousef ‘Joe’ Sweid), proprietario di una startup, Dikla (Moran Rosenblatt), una donna che sulla piattaforma aveva lavorato, e Anat (Neta Riskin), madre e moglie insospettabile. Inutile dire che la vita dei tre cittadini apparentemente ignari degli eventi verrà completamente stravolta, con ripercussioni incalcolabili sulle rispettive famiglie. Ma sono davvero colpevoli?

Nel primo episodio di False Flag, intitolato Scomparsi, tre cittadini apparentemente normali finiscono nella lista dei sospettati di un attacco terroristico

False Flag, cinematographe.it

I quaranta minuti di Scomparsi, primo dei nove episodi che compongono la seconda stagione di False Flag, si guardano con il fiato sospeso, in equilibrio perfetto tra suspense e pathos, complice una trama fruibile e coinvolgente anche per chi non ha avuto occasione di vedere la prima annata. Maria Feldman e Leora Kamenetzky (che prende il posto del giornalista Amit Cohen, sceneggiatore della prima stagione) costruiscono un intreccio che gioca apertamente e fin quasi dalle prime scene con le aspettative del pubblico, impegnato a scoprire chi sia veramente coinvolto e chi no.

Al di là del contesto geopolitico in cui False Flag si inserisce, la vera forza dello show è da ricercare nei suoi personaggi, umani, complessi e ben delineati, con un’attenzione particolare riservata, già in questa prima puntata, alle figure femminili: merito speciale va a Miriam Levi, la madre ultraortodossa interpretata da Hanna Azoulay Hasfari, figura tanto più affascinante nel momento in cui è costretta a confrontarsi con il personaggio di Dikla, ragazza lesbica che proprio di questa donna molto religiosa è figlia e quindi costretta a nascondere tutto alla madre. Complice di questa schiera di ritratti femminili ben delineati è senza dubbio la presenza di due donne dietro l’architettura di una storia che, per il particolare genere in cui si inserisce, è molto spesso appannaggio di creatori maschi.

Se mettiamo per un secondo da parte la trama alla John Le Carré e gli intrecci legati al mondo delle spie, background naturale e scontato di un prodotto come questo, quello che colpisce di più è la profondità di una serie che non smette mai di interrogarsi su temi universali, che ne hanno sancito il successo in patria e, siamo convinti, non tarderanno a conquistare anche il pubblico italiano.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3