Fairfax – stagione 2: recensione serie TV Prime Video

Questa seconda stagione della serie Prime Video mostra di non avere tutte le carte in regola per poter portare avanti il suo viaggio

Amazon ha rilasciato la seconda stagione della serie comica animata per adulti Fairfax, creata da Matt Hausfater, Aaron Buchsbaum e Teddy Riley. Torna ad occuparsi del quartetto di amici, di studenti delle scuole medie Dale, Derica, Benny e Truman che sono alla ricerca di popolarità e individualità a Los Angeles, Fairfax. La commedia animata ha un cast stellare che include Guy Fieri, Billy Porter, Zoey Deutch, Camila Mendes, Annie Murphy, Ben Schwartz, Michael Rooker e John Leguizamo, solo per citarne alcuni. La serie torna sulla piattaforma il 10 giugno 2022 con nuovi episodi che raccontano le avventure dei quattro amici alla ricerca ancora del loro posto nel mondo. La serie porta in scena la cultura hypebeast amata e seguita dalle persone che sfoggiano abiti costosi solo per impressionare gli altri, che comprano pezzi rari solo perché sono rari e che cercano l’esclusività anche quando questa esula dalle loro possibilità economiche; gli hypebeast dunque sono individui, spesso giovanissimi, che scelgono i propri vestiti solo in base alla moda, e a prescindere dal loro prezzo.

Fairfax 2: Dale e i suoi amici alla ricerca della popolarità

Lo si sa bene, l’animazione non è una cosa solo per bambini, negli ultimi anni c’è stata una grande ondata di spettacoli di animazione per adulti, si pensi a Bob’s Burgers, Archer e F is for Family, Big Mouth. Fairfax 2 cerca ancora di adattarsi a questo genere, ma non si crea una relazione profonda con i personaggi, non c’è connessione, si ha la sensazione di non trovarsi di fronte a un’opera nuova, rivoluzionaria. Lungo gli episodi si percepisce chiaramente lo sforzo per far ridere, per essere in relazione con il contemporaneo, con la società; intende essere un prodotto diverso da tutto il resto.

Dale e i suoi amici vogliono essere popolari, vogliono essere degli influencer, vogliono essere capiti e compresi ma qualcosa non funziona nel racconto. In ogni puntata c’è una piccola avventura a cui partecipare, un piccolo mondo di cui far parte, una piccola situazione che i protagonisti devono risolvere; mentre gli adulti forse sono talmente impegnati ad essere ancora giovani, i più piccoli vogliono diventare grandi subito, prendersi delle responsabilità. Il racconto è incastrato in una bolla di Los Angeles, completamente ossessionata da tutto ciò che è incentrato sullo streetwear e su Internet. Lungo gli episodi Fairfax mette in scena l’amicizia, il lavorare insieme per riuscire a sopravvivere alle battaglie quotidiane, ma, questo sì che risulta riuscito, viene mostrata la “cattiveria”, il cinismo che alle volte abita i più piccoli.

I quattro amici sono uniti sì ma ci sono cose più importanti, l’amore, la popolarità, che alle volte fanno uscire dalla carreggiata i protagonisti. Sono molti i riferimenti culturali alla contemporaneità che diventano perfino fastidiosi e noiosi, si perde il divertimento, perché sembra che come a scuola i creatori vogliano coprire il vuoto narrativo e di idee con le battute e l’ironia. Se l’idea dei creatori è quella di scrivere una lettera d’amore ai ragazzini di oggi, a quella generazione che dovrà salvare il mondo dal riscaldamento globale qualcosa non torna. Fairfax è pieno di battute che vorrebbero essere espressione di una sprezzante intelligenza, vorrebbe avere un cuore caldo alimentato da amicizia, cameratismo e accettazione ma quando c’è è annacquato tanto da perdersi nel marasma di lotte, ricerche, battaglie piccole o grandi.

L’incapacità di creare una relazione con il pubblico

La battaglia tra i buoni e i cattivi, l’evoluzione e la crescita dei personaggi procede ma quasi senza forza e senza alcun tipo di attrattiva, tanto che il primo problema che emerge è uno: a chi è rivolta questa serie?  Quale è il suo pubblico? I millennial? La generazione Z? Nessuno sembra essere il pubblico di riferimento perché l’ironia è quasi indifferenziata, punta ad essere uno show cattivo indistintamente per colpire i social media. Si critica l’ossessione del moderno di apparire più che essere, la necessità quasi fisiologica di mostrare tutto perché solo così si è veramente, la stupidità di un certo mondo social che non ha nulla sotto, l’importanza di alcuni oggetti che diventano rappresentazione di uno status symbol al di là del loro valore (il marchio Latrine).

Sebbene la serie possa sembrare sulla carta intelligente, strana e divertente, non riesce alla fine a colpire, a far ridere e neppure riflettere. Non dialoga veramente con il contemporaneo, non dialoga con i più grandi tra i più giovani e neppure con i più maturi tra gli adulti, la sensazione è quella di non narrare niente veramente e nel profondo. Dalla scuola media che partecipa a una “gara del lutto” fino alla Gang Gang che salva Hiroki dal famigerato Clout 9, c’è molta carne al fuoco che però non risulta succosa, ma secca, senza il sapore che dovrebbe avere. Un punto divertente è Billy Porter nei panni di Hiroki Hassan che sembra una sorta di Willy Wonka del regno di Fairfax, Hassan è la mente solitaria dietro Latrine, una casa di moda che crea pezzi ironici sovversivi dello stile streetwear che tutti vogliono. 

La scuola, i problemi ad essa legati, le paure, gli errori, i bisogni di quell’epoca fanno da sfondo senza mostrare la profondità di tutto quel coacervo di cambiamenti, fragilità relativi a quest’età.

Fairfax 2: una serie per nulla riuscita

Farifax con questa seconda stagione mostra di non avere tutte le carte in regola per poter portare avanti il suo viaggio. I suoi episodi, molto brevi, possono essere guardati velocemente ma la sensazione dopo la visione è quella di vuoto. Se si è amanti di questo genere di animazione, ha molto più senso recuperare Big Mouth, Rick and Morty, F is for Family, Bob’s Burgers, Disincanto o se li si è già visti pensare al rewatch.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

1.8