Das Boot: recensione della serie tv tedesca su Sky Atlantic

Il nazismo e il conflitto che ha sconquassato il mondo, dal punto di vista tedesco: sbarca su Sky Atlantic Das Boot, una storia di epiche battaglie, gloriose resistenze e spionaggio internazionale.

Punta di diamante della proposta 2019 di Sky Atlantic – assieme alla terza stagione di True Detective – la mini-serie tv tedesca Das Boot ha fatto registrare un esordio italiano da record: i primi due episodi (trasmessi il 4 gennaio, e ora disponibili on demand) sono stati visti da 257mila spettatori, corrispondenti al miglior debutto per una produzione europea di Sky. Che i tempi fossero maturi per la Germania l’avevamo già capito nel 2018 grazie a Dark, opera coraggiosa per nulla intimidita dal confronto coi campioni americani.

Das Boot non è da meno, pur dovendo fare i conti con un precedente esemplare: la serie è infatti ufficialmente il sequel del film del 1981 U-Boot 96, allora candidato a ben 6 premi Oscar per merito soprattutto del talento di Wolfgang Petersen, divenuto nel corso dei decenni il regista da disaster movie per antonomasia. Con un occhio rivolto al film e un altro ai romanzi bellici di Lothar-Günther Buchheim, la serie ci porta nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale, concentrandosi sulla Resistenza francese e al contempo sulla durissima vita dell’equipaggio a bordo del sottomarino tedesco U-612.

Das Boot: spia e lascia spiare

Senza troppi preamboli si comincia con l’inquadratura dall’alto proprio di un sommergibile: un puntino quasi microscopico in un mare sconfinato, a dare fin da subito la misura dell’impotenza umana. Il prologo è crudo, atroce, senza speranza. Proprio come il comandante tedesco che di lì a pochi minuti condanna a morte per fucilazione un capitano reo di codardia. Ma Das Boot possiede una doppia natura: se da un lato guadagna via via sempre più spazio e importanza la vicenda puramente d’azione, dall’altro emerge prepotentemente la volontà di dare corpo e anima anche ad una trama parallela votata allo spionaggio. Entra così in scena, sulla terraferma, la traduttrice Simone Strasser, in contatto coi membri della Resistenza – inizialmente suo malgrado – e sempre più dubbiosa sulla fedeltà al regime nazista.

È proprio questo filone a dare senso compiuto ad un primo episodio (L’incarico) che cerca di gettare generosamente in campo più sollecitazioni possibili, anche per restituire l’idea del caos e della confusione che regnano nel sistema militare. I dialoghi, gli sguardi e la sottile tensione degli eventi che si succedono a La Rochelle (ultima roccaforte francese a essere liberata dall’occupazione) e nelle segrete stanze del potere funzionano alla perfezione; mentre paradossalmente le sequenze marittime – perlomeno nei primissimi episodi – procedono con maggiore incertezza, risultando per lo spettatore meno coese e persino meno interessanti.

Das Boot: dove ho già visto quel volto?

Si capisce che il compito del regista viennese Andreas Prochaska (ex montatore di Michael Haneke, autore di Funny Games, 1997, e di Il nastro bianco, 2009) non è per nulla facile: occorre stimolare la visione e la curiosità attraverso una ricostruzione storica articolatissima, fondendo e rendendo il più possibile fluide situazioni narrative agli antipodi: da un lato la grande verbosità della spy story, che permette di approfondire i caratteri e le sfaccettature dei personaggi; e dall’altro il moto perpetuo della guerra e delle missioni sott’acqua, in cui spesso si lotta contro un nemico invisibile o contro i propri demoni interiori.

Particolarmente riuscita e per questo meritevole di menzione risulta la scelta del cast, formato da attori riconoscibili ma non affermatissimi. Su tutti spiccano le due principali interpreti femminili, Vicky Krieps e Lizzy Caplan, già viste rispettivamente in Il filo nascosto (2017) e in Masters of Sex (2013-2016). Mentre il comparto maschile è degnamente rappresentato da Rainer Bock (Storia di una ladra di libri, 2013) e da Vincent Kartheiser (Mad Men, 2007-2015). Si ha la sensazione che la scelta di non affidarsi ad una o più superstar del piccolo/grande schermo possa rivelarsi a lungo andare vincente: l’obiettivo di Das Boot è rendere protagonista la Storia, con tutte le sue storture e i suoi insegnamenti.

Das Boot: un nuovo punto di vista

Già rinnovata per una seconda stagione, Das Boot (in onda ogni venerdì sera fino al 25 gennaio su Sky Atlantic) promette di soddisfare sia il pubblico amante degli intrighi internazionali alla John Le Carré (e non sembra un caso che diversi elementi del cast provengano dal film La spia – A Most Wanted Man, tratto proprio da un suo romanzo) che quelli desiderosi di un “alleggerimento” action – vagamente nostalgico – che omaggi i vari Caccia a Ottobre Rosso (1990) e U-Boot 96 (riferimento dichiarato). Il tutto con un’estetica moderna, quasi debitrice del Dunkirk nolaniano, che vada a fondo nella Storia senza cadere nella retorica da serie B.

Ma la serie può risultare interessante anche per chi non è interessato a nessuno di questi due aspetti: raramente il cinema e l’audiovisivo hanno raccontato il nazismo e i suoi abomini dal punto di vista dei tedeschi, e il fatto che il prodotto sia interamente made in Germany non fa che aumentare la curiosità. Das Boot, scavando un po’ sotto la superficie delle cose, ci mostra la disperazione (che “non è un fato, è uno stato mentale da superare”, come dice uno dei gerarchi), la solitudine e la disfatta dell’essere umano costretto a combattere contro se stesso, nel nome di un ideale che – per tutti – si tramuta in battaglia per la sopravvivenza e annullamento della personalità.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8