Cowboy Bebop: la recensione della serie Netflix

Semplicemente un live action sbagliato.

Netflix ha un problema: il bisogno estremo di dover sempre e per forza piacere a tutti. É un problema che in alcune serie, come Cowboy Bebop, emerge più che in altre. Solo che questa continua ricerca di soddisfazione da parte del pubblico tutto, con strizzate d’occhio in ogni direzione, non finisce solo per far perdere di vista la storia, i personaggi e i sottotesti, ma arriva a minare l’intera credibilità della produzione.

Come se non bastasse poi, nel caso di questo live action – tratto dall’anime omonimo di Shin’ichirō Watanabe – i problemi non si fermano qui e proseguono con delle forzature della trama originale e un’immotivata urgenza di dover rendere tutto subito palese e spiegato. Il risultato è un prodotto svuotato della sua anima, volutamente nostalgica e frammentaria, e infarcito di situazioni scontate, colpi di scena telefonati e dialoghi prolissi a tratti imbarazzanti.

Cowboy Bebop: “I think it’s time we blow this…SHAME!”

Prima di procedere voglio fare due premesse importanti per capire l’ottica in cui è stata realizzata questa recensione: innanzitutto chi la scrive è un fan dell’anime originale. Uno che lo ha visto nel ’99 con gli occhi di un bambino e l’ha rivisto da poco con quelli di un adulto proprio per prepararsi a dovere a questo live action (e forse ho fatto un errore perché il confronto è devastante). Poi c’è da considerare un altro fattore insito proprio nella realizzazione di una trasposizione da un’opera ad un’altra. Si possono seguire sostanzialmente due strade: quella della fedeltà, naturalmente non una fedeltà assoluta con l’opera originaria ma piuttosto qualcosa che ci si avvicina molto (e in questo caso la serie TV di The Witcher e la saga letteraria da cui è tratta ne sono un ottimo esempio); oppure prendere la via più impervia e usare l’opera originale come una piattaforma di lancio per raccontare una storia del tutto nuova, a volte con risultati discreti come Lupin e a volte con prodotti che trascendono l’opera originale stessa, come l’eccezionale Arcane.

Detto questo quindi vi sarà più semplice capire sia la grande delusione che permea questa mia recensione, sia la posizione che Cowboy Bebop ha a livello di trasposizione: un mix tra fedeltà estrema e nuove storie che non riesce ad eccellere né in fedeltà né tantomeno in originalità. Ma andiamo con ordine. La storia è sempre quella di tre cacciatori di taglie spaziali: Spike Spiegel (John Cho), Jet Black (Mustafa Shakir) e Faye Valentine (Daniella Pineda) uniti da un destino controverso e alla ricerca di un modo per fare soldi così mettere qualcosa sotto i denti. L’ambientazione è sempre quella di uno sci-fi western in cui i personaggi si spostano da un pianeta all’altro a bordo di veri e propri rottami ambulanti che definire astronavi sarebbe coraggioso. I nemici sono sempre quelli visti nell’anime. Ed Ein è sempre un bellissimo Corgi. Ma allora dove sta il problema?

Cowboy Bebop By Cinematographe

Il problema è che al di là di giacche, astronavi e personaggi, il live action non è riuscito a ricreare l’atmosfera dell’anime. La serie originale era infatti un ibrido tanto azzardato quanto riuscito che metteva insieme noir, azione, thriller, horror, pulp, hard boiled, weird e molti altri generi, andando a strappare pezzi dalla cultura di massa (e soprattutto dalla musica) e creando un collage del tutto inaspettato e innovativo. Il live action è come se avesse dato una passata di spugna a tutto questo per realizzare un cosplay a 360 gradi della serie originale. Finché scimmiotta alla lettera il personaggio che interpreta riesce quasi a funzionare come trasposizione, ma quando prova ad andare oltre la maschera il tutto appare artefatto e parecchio forzato.

Cowboy Bebop: l’anime di 23 anni fa è più attuale del live action di oggi

Nel primo episodio, molto fedele all’anime nonostante l’inserimento prematuro di Faye, tutto sembra funzionare alla perfezione e il live action dà subito l’idea di un prodotto attento all’opera originale. Anche gli attori, Jet in particolare, riescono a riportare in carne e ossa sia il carattere che le movenze della loro controparte animata. I membri del cast principale funzionano bene insieme. Si avverte intesa tra i tre cacciatori di taglie e lo spettatore si sente pienamente coinvolto nelle loro (dis)avventure.

Nel secondo episodio però la carne al fuoco aumenta e pur mantenendo una certa fedeltà con l’anime si avverte che qualcosa comincia a stonare. Viene rivelato tanto, forse troppo. Cominciano ad emergere informazioni sul passato dei personaggi, su Spike in particolare. Informazioni che nell’anime emergono solo dopo numerose puntate. La serialità però è così no? Tutto e subito. La serie schiaccia quindi l’acceleratore e nella prima metà liquida i segreti di Faye e di Jet, riservando la seconda parte per parlare del passato di Spike. In pratica brucia in circa 5 puntate tutto l’interesse per la storia dei personaggi che l’anime costruisce in 26 episodi, centellinando con cura ogni informazione. Un passato di tre antieroi continuamente in conflitto con sé stessi tra chi non riesce a dimenticare e chi non riesce a ricordare. Un passato che in qualunque caso andrebbe lasciato dove si trova e che da solo componeva un terzo dell’opera originale di Watanabe (gli altri due terzi erano composti dalla nostalgia e dall’inserimento di personaggi totalmente weird).

Cowboy Bebop by Cinematographe

Cosa rimane quindi negli altri 5 episodi del live action? Minutaggio. Inquadrature e silenzi che durano più del dovuto senza comunicare niente. Aggiunte che vorrebbero spiegare, ma che invece vanno solamente a togliere. Dialoghi scurrili che sembrano usciti da Rick & Morty, manca solo il rutto finale. E la passione segreta di Spike per le milf (non sto scherzando!) Anche la recitazione cala parecchio e dopo un inizio tutto sommato interessante, condito anche da buone scene d’azione, tutto sfocia nel becero, tutto diventa commedia, tanto che anche il dramma non riesce a fare male ma solo ad annoiare. Semplicemente, ad un certo punto, Cowboy Bebop smette di essere Cowboy Bebop e diventa una serie dove tre cacciatori di taglie vivono le loro avventure (scontate) nello spazio.

Per tutta la serie la difficoltà degli showrunner di destreggiarsi tra fedeltà e nuovi sviluppi narrativi è palese, finché alla fine non cedono a questi ultimi scivolando in una serie di scelte davvero discutibili. Come quella di dare tanto, troppo spazio a personaggi come Vicious (Alex Hassel) e Julia (Elena Satine) che da figure quasi mitiche nell’anime diventano presenze scomode e ridondanti. Nell’episodio numero 3 però, che rimaneggia quanto visto nella seconda puntata dell’anime, le novità inserite funzionano e viene aggiunta una divertentissima storyline dedicata alla ricerca di una bambola giocattolo, apparentemente introvabile, e che porterà i cacciatori protagonisti fino ai lascivi meandri di un bordello. Questa è inoltre la puntata più vicina allo spirito dell’anime e dove il tutto non appare come un semplice cosplay dell’opera originale, ma come qualcosa capace di espandere quest’ultima. Peccato solo che un lavoro del genere inizi e termini con questo episodio e personaggi interessanti come gli ecoterroristi o Mad Pierrot vengano riportati solo come macchiette e svuotati del loro significato più profondo.

Cowboy Bebop By Cinematographe

Cowboy Bebop mi fornisce l’occasione anche per fare un piccolo appunto a Netflix per quanto riguarda l’inclusività. La piattaforma è molto attenta a questo discorso però: un conto è scrivere ad-hoc personaggi in grado di portarlo avanti e un conto è sparare nel mucchio straniando personaggi e situazioni per essere in grado di rivolgersi anche a determinate fette di pubblico. In Cowboy Bebop questo accade, tra le altre cose, con Faye che viene dipinta come un personaggio bisessuale. Ecco, io non critico la scelta di rendere Faye un personaggio bisessuale rispetto all’originale che non lo era, anzi, Faye era forse uno dei personaggi migliori per trattare questa tematica. Critico però il modo in cui è stato inserito il discorso. Credo che per rendere Faye un personaggio in grado di portare avanti il discorso su questo tipo di sessualità non basti una scenetta incastrata a forza nella storyline di un episodio o qualche battuta, anche abbastanza scadente, sul sesso. Ci voleva qualcosa in più. Qualcosa di più profondo e tangibile e non una rappresentazione tanto artefatta che sembrava gridare solo “Si! Noi parliamo anche di questo!” E poi, inutile girarci intorno, Cowboy Bebop non aveva bisogno di questo tipo di aggiunte perché, pur essendo una serie di 23 anni fa, riusciva a rappresentare le complessità del mondo odierno meglio di tanti prodotti “moderni”.

Cowboy Bebop: un’occasione sprecata e la paura per il domani

Cowboy Bebop By Cinematographe

L’anime di Cowboy Bebop è come una canzone. Comunica allo spettatore l’essenziale. Evoca immagini, ricordi, sensazioni. Frammenti di un quadro che non viene mai spiegato del tutto e che lascia il tempo di riflettere su quanto visto.

Il live action di Cowboy Bebop prova ad essere quella canzone, ma invece di limitarsi all’essenziale vuole spiegare ogni cosa. I ricordi non sono più attimi fugaci, ma intere sequenze di immagini che non lasciano più niente all’interpretazione. Le sensazioni sfumano e l’unica cosa su cui rimane da riflettere è la monotonia della canzone ascoltata. Una melodia che remixa l’originale, ma rimane comunque qualcosa di già sentito.

Questo live action è quindi un’occasione sprecata. Un qualcosa che aveva tutte le carte in regola per aprire a Netflix la strada della trasposizione filmica degli anime, ma che invece lascia con tanto amaro in bocca e una grande paura per il futuro, visto che il prossimo live action sarà dedicato a One Piece.

Il cambio di trame, situazioni e personaggi di questo Cowboy Bebop disintegrano l’originale. Difficilmente un fan riuscirà a digerire tanti cambiamenti. Tutti gli altri si troveranno invece di fronte ad una serie scontata e incapace di mantenere la stessa qualità dei primi episodi per tutta la produzione, ma che lascia però intravedere delle potenzialità. Un’occasione, per chi vorrà approfondire, che potrebbe spingere alla scoperta dell’anime originale sempre su Netflix.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 4
Emozione - 1

2.3

Tags: Netflix