Christian: recensione della serie Sky Original con Edoardo Pesce

Edoardo Pesce è il picchiatore al soldo del boss che scopre di avere un "dono". Claudio Santamaria è l'emissario del Vaticano deciso a scoprire se sia o no un fake. Ecco a voi Christian, supernatural italiano prodotto da Sky e Lucky Red, in tv e in streaming a partire dal 28 gennaio 2022.

Quanti nomi ci sono da fare. Christian è una serie Sky Original in sei episodi, dal 28 gennaio 2022 su Sky Atlantic, poi in on demand su Sky e in streaming su NOW. Prodotta da Sky e Lucky Red in partecipazione con Newen Connect. Creata da Valerio Cilio, Roberto “Saku” Cinardi (sua l’idea) e Enrico Audenino, liberamente ispirata a Stigmate, graphic novel a firma Piersanti/Mazzotti. La regia è di Stefano Lodovichi e di Roberto “Saku” Cinardi.

Nel cast, oltre ai protagonisti Edoardo Pesce e Claudio Santamaria, vanno ricordati (tra i tanti) anche una bravissima Silvia D’Amico, Francesco Colella, Giordano De Plano e Lina Sastri. A tenersi lontani dagli spoiler, l’elenco dei presenti è l’unica cosa che si può fare senza timore di finire in galera. O in un inferno di eterna dannazione. Contano entrambi i versanti, materiale e spirituale. Christian parte dalla cruda realtà per scivolare progressivamente verso una dimensione eterea, spirituale, soprannaturale. Che riscatti e approfondisca il grigiore e l’assenza di prospettive della vita quotidiana. La dialettica tra quotidiano ed eccezionale è croce e delizia della serie.

Christian: tra realismo e soprannaturale, la storia di un picchiatore con un “dono”

Christian cinematographe.it

Dietro le quinte, Christian fotografa abbastanza bene lo stato delle cose. Il mix di atmosfere getta luce sul tentativo molto contemporaneo di ridefinire, allargandoli e contaminandoli, i codici della narrazione seriale (anche cinematografica, perché no) italiana. Il funerale del realismo povero, il processo al marchio registrato e iper-replicato del realismo criminale, prodotti d’interesse e un bell’appeal internazionale, qualcuno ha detto Gomorra? L’intenzione, stavolta, è di sporcare l’analisi di una quotidianità impura, emarginata, filtrandola con la deformazione di un certo tipo di narrazione fantastica. Un certo tipo. Supernatural, lingua originale perché questa roba qui in Italia si è sempre fatta poco. Di nostro, c’è l’umorismo malinconico e un po’ cialtrone. Gomorra che incontra Jeeg Robot che a sua volta scopre… il vostro testo religioso di riferimento.

Christian è il titolo della serie, ma anche il nome del protagonista (Edoardo Pesce). Picchiatore senza prospettive, in cerca di un avanzamento di carriera che non arriverà mai. Almeno rimanendo al soldo di Lino (Giordano De Plano), boss della Città-Palazzo e, in breve, suo fratello spirituale. L’uomo fa il lavoro sporco in coppia con Davide (Antonio Bannò), figlio di Lino con cui si intende anche piuttosto bene, ma finisce tutto lì. La stasi esistenziale dura fino al giorno in cui un dolore insolito apre la strada a due buchetti sanguinanti in mezzo alle mani, che Christian non riconosce per quello che sono, perché di catechismo da bambino ne ha fatto poco. Non importa; le stimmate (o stigmate) non la prendono troppo sul personale, e mettono in moto rapidamente la loro personalissima magia sacra. La prima a beneficiare del “dono” di Christian è Rachele (Silvia D’Amico), tossica che si prostituisce per una dose in più e che Christian tira fuori dal buio in maniera scientificamente inspiegabile.

È solo l’inizio. Nel giro di breve tempo l’uomo prende gusto a ridisegnare la vita di chi gli sta intorno; la mamma Italia (Lina Sastri), Anna (Milena Mancini), moglie di Lino, o in maniera più obliqua Tomei (Francesco Colella bravissimo), il cinico medico di zona. Il comportamento di Christian fa rumore, non solo dentro la Città-Palazzo che per la prima volta sembra assaporare il gusto spiazzante della speranza. Ma anche fuori, dalle parti (vaticane) di Matteo (Claudio Santamaria). Emissario della Santa Sede con un passato interessante, che per lavoro smaschera frodi religiose e ha tanto bisogno di dare una rinfrescata alla sua fede zoppicante. Lui, in Christian non crede per niente. Avrà mica ragione?

Città-Palazzo: un interessante lavoro sullo spazio per creare un curioso microcosmo

Bisogna spendere un po’ di tempo per capire come la serie cattura e ridefinisce i suoi spazi. Colpisce, in effetti, l’operazione di camuffamento della realtà che trasforma la periferia romana (Corviale e dintorni) in un articolato non luogo di emarginazione, miracoli e riscatto che qui passa sotto il nome di Città-Palazzo. Un alveare di cemento, città dentro la città, il microcosmo sociale, economico e morale che forma le sue leggi, i suoi tribunali, le sue condanne e le sue espiazioni. Un concetto sfuggente del bene e del male, un cocktail di umori, luci e ombre, che riflette buona parte delle ambizioni estetiche ed emotive del racconto. La Città-Palazzo è Christian e viceversa. Capire come le tante anime della storia vengano reciprocamente a patti spiega dei successi e degli insuccessi della serie.

Crime, umorismo e soprannaturale

Christian cinematographe.it

È importante che Christian (la serie) permetta a Christian (il personaggio) di fare il suo lavoro. Perché ogni volta che questo succede, l’architettura del racconto trova la quadra, permettendo al groviglio di pathos, umorismo e suggestioni spirituali di offrirsi all’attenzione dello spettatore in tutta la loro gloriosa complessità pop. Edoardo Pesce è, prima di tutto, una fisicità importante. Il suo supereroe periferico attraversato in uguale misura dal bene e dal male ha bisogno di un pubblico per la sua magia. E nessun partner di scena, l’elegante e oscuro Giordano De Plano, la mamma fragile e forte Lina Sastri, l’amico Antonio Bannò, il tormentato Claudio Santamaria (che qui lavora di prestigio per compensare il minutaggio risicato), riesce a valorizzarlo quanto l’incredibilmente realistica Silvia D’Amico. Ogni volta che la storia trova il modo di tenerli insieme in scena, questi due eroi assolutamente imperfetti, la serie brilla. Di un mistico, malinconico umorismo.

È un peccato che tutto quel che sta nel mezzo al rapporto tra Christian e Rachele, il racconto della vita nel labirinto di cemento, la parentesi crime, l’indagine spirituale, funzioni decisamente meno. I piccoli scorci di quotidianità nella Città-Palazzo, lampi di umorismo, vita di borgata, la cronaca di un mondo criminale, assomigliano a mille cose già viste. Di fronte al mistero, al soprannaturale, la serie fatica a trovare la giusta distanza. Nell’animo spezzato dell’emissario interpretato da Claudio Santamaria, l’eco di un discorso che poteva essere più approfondito e che invece si esaurisce lasciando un’impressione di irrisolto, di inespresso. Che il bravo attore romano sia riuscito comunque a ritagliarsi un arco narrativo sensato, va a suo indiscutibile merito.

Per via di un paradosso (che in fondo paradosso non è), Christian finisce per soccombere di fronte alla sua natura stratificata. Il labirinto di generi, il racconto di un piccolo mondo periferico, persino il piatto ricco del cast (di notevole spessore).  Ogni cosa contribuisce a partorire una serie diseguale. Un intreccio interessante, una formula produttiva da perfezionare anche se per nulla trascurabile, qualcosa da aggiustare nel dosaggio degli ingredienti.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.6