Bordertown: recensione della serie tv finlandese disponibile su Netflix

Bordertown è una classica serie noir che pone al centro personaggi che, senza la loro dote, quella di risolvere, grazie ad un'intelligenza superiore alla media, i casi che si pongono davanti a loro, sarebbero tenuti ai margini.

Il 15 Luglio su Netflix è arrivata in Italia, Bordertown – in onda in anteprima in Finlandia dal 16 ottobre 2016 su Yle TV1 -, la serie finlandese ideata da Miikko Oikkonen, intitolata in lingua originale Sorjonen, nome del suo protagonista, il profiler della polizia di Helsinki Kari Sorjonen (Ville Virtanen) che si occupa di crimini violenti. 11 episodi della durata di circa 50 minuti – ogni caso tocca due/tre episodi -, raccontano la vita professionale e privata dell’ispettore che grazie ad una capacità mnemonica fuori dal comune riesce a risolvere tutti i suoi casi. Nel primo episodio si vede l’uomo di polizia abbandonare Helsinki e la KRP dopo che la moglie, affetta da un tumore al cervello, sembra essersi salvata, per poter stare accanto alla consorte e alla figlia adolescente e avere con loro una vita più tranquilla come capo della polizia locale. Arrivato a Lappeenranta, viene seguito dal male, rapimenti, morti, traffico di stupefacenti e altri misteri piagano la piccola cittadina al confine con la Russia e ributtano l’uomo in un inferno di sangue e indizi.

Bordertown: Sorjonen, un personaggio ai margini

Una giovane donna viene trovata morta nel fiume, sul corpo di un’altra si trovano morsi di cani, altre ancora spariscono nel nulla; l’uomo di legge è l’unico che può trovare la quadra per venirne a capo. Sorjonen non si risparmia mai, dovrebbe stare in disparte, almeno quella era l’idea iniziale, ma questo è il suo lavoro e non può tirarsi indietro. Il telefono squilla e Kari, come gli uomini di Ulisse, viene richiamato dal canto della Sirena, incantatore e inquietante.

Sorjonen, con una nuova squadra sotto di lui e una nuova responsabile, si mostra ancora per quello che è: un borderline, un uomo silenzioso, isolato e che si isola per natura – di fronte alla stampa si dimostra non all’altezza, incapace di sostenere lo sguardo e le domande dei giornalisti – un genio tormentato e incompreso che però riesce a notare tutto ciò che agli altri, ai cosiddetti normali, sfugge.

Come tutti i geni il profiler fa difficoltà ad afferrare le dinamiche sociali, mentre comprende perfettamente quelle, estranee ai più, che fanno parte di un altro piano. Se con il distintivo tutto ha un ordine prestabilito, ogni cosa è un tassello che torna al suo posto, a casa invece i rapporti, le discussioni, la vita vanno in un’altra direzione; se durante le indagini basta applicare le mani sulla testa, concentrarsi, guardare e riguardare ciò che c’è a disposizione per trovare una soluzione, tra le mura domestiche la situazione è più complicata: si dimentica di accompagnare la moglie a fare una tac, non riconosce tra le altre la casa in cui si è trasferito.

Bordertown è una classica serie noir che pone al centro personaggi che senza la loro dote, quella di risolvere, grazie ad un’intelligenza superiore alla media, i casi che si pongono davanti a loro, sarebbero tenuti ai margini: si pensi al Will Graham di Hannibal o a Sherlock Holmes dei libri, dei film e delle serie tv, entrambi grazie al loro talento, quello mnemonico, trovano il filo conduttore degli eventi. Come Will, Kari è empatico, si avvicina alla vittima, come anche al colpevole e ne vede i movimenti, ne capisce i pensieri e proprio per questo trova il bandolo della matassa. Come Sherlock, usa il palazzo della memoria che si basa sul metodo dei loci, tecnica cara agli antichi greci e latini, per entrare nel caso e portare a galla ciò che è nascosto rivivendo ciò che è accaduto.

Bordertown: il fascino del “palazzo della memoria”

Sorjonen, quando è in difficoltà, quando comprende che qualcosa gli sfugge, si rifugia in una stanza chiusa a chiave in casa sua, in cui costruisce il palazzo della memoria. L’uomo all’interno di un quadrato da lui costruito si immerge nei ricordi, negli indizi, chiudendo gli occhi e entrando in un altro mondo. Come Sherlock abbina ciò che difficilmente sarebbe abbinabile, unisce i punti, crea collegamenti e così nei vari episodi congiunge i fili tra i vari casi che non sono mai veramente slegati: una donna finita in ospedale ha qualcosa a che fare con i combattimenti tra cani, la sparizione di giovani ragazze, trattate come bambole, con un traffico losco orchestrato dai potenti. Bordertown se risulta riuscito nella costruzione del suo personaggio principale anche grazie al lavoro di Ville Virtanen, dal volto segnato, sciupato, stanco di chi dorme poco e male, che dà corpo ad un antieroe immerso perfettamente nelle fredde terre finlandesi, scricchiola proprio nella scrittura, elemento fondamentale di un poliziesco. Non sempre infatti i casi vengono ben sviluppati, lasciando allo spettatore l’amaro in bocca perché non ha ben compreso i vari processi che hanno portato Sorjonen a concludere l’indagine.

Lungo gli 11 episodi tutto sembra essere unito da un nodo centrale, il profiler appunto: i nuovi colleghi si interrogano sui segreti dell’uomo e sul motivo per cui abbia lasciato Helsinki, gli ex compagni di lavoro si prendono bonariamente gioco di lui, tanto strano e diverso, un amore giovanile della moglie è nome ricorrente in tutti i più loschi affari e rientra quasi in ogni indagine, la figlia viene coinvolta in un omicidio e messa in prigione.

Bordertown: il male dilaga, sempre

Bordertown, come molti altri noir scandinavi – dai romanzi della trilogia Millennium, scritti da Stieg Larsson, diventati poi film crudi e violenti -, molto di moda in questi ultimi anni, gioca sul contrasto tipico del genere, la superficie addormentata sotto una coltre statica e il sangue che cola copioso, il freddo e gelido mondo del nord ferito in maniera brutale e selvaggia che fa fuoriuscire da quelle ferite ciò che sembrava impossibile esistesse. Bordertown mostra la natura, gli eroi tormentati e quel magma sotterraneo che muove dal di dentro la superficie all’apparenza innocente del paese, portando a galla il suo lato più oscuro fatto di misoginia e violenza.

Il male esonda, si infrange e distrugge uomini, donne e quel fragile equilibrio che il gelo aveva reso immobile fra le sue braccia; l’unica possibilità è Sorjonen che riesce grazie al suo dono a risolvere ogni cosa salvando il salvabile. Ci sono però cose, situazioni, avvenimenti che neanche il super potere del profiler riesce a porre in salvo.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.4

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