Bard of Blood: recensione della serie tv Netflix
La recensione di Bard of Blood (2019), sorpresa appena entrata a far parte del catalogo Netflix, una serie tv thriller-spy dal ritmo incalzante.
Dopo i pioneristici Sacred Games (2018) e Ghoul (2018) – con risultati alternati in termini di critica e pubblico -, arriva su Netflix la serie tv Bard of Blood (2019) diretta di Ribhu Dasgupta il primo prodotto seriale del colosso californiano in lingua hindi-urdu, il cui soggetto è tratto dall’omonimo romanzo del 2015 di Bilal Siddiqi.
La serie, rilasciata da Netflix il 27 settembre 2019 con protagonisti Emraan Hashmi, Kirti Kulhari, Vineet Kumar Singh, Jaideep Ahlawat, Amyra Dastur e Sobhita Dhulipala si distingue da subito per una qualità di scrittura ben oltre la media del catalogo degli Originali.
A partire dal disclaimer in apertura del primo episodio, si evince come l’intento di Bard of Blood non sia quello di condannare o denunciare religioni e/o organizzazioni, piuttosto di procedere verso un racconto verosimile senza prendere posizione. In Bard of Blood infatti, già a partire dall’episodio d’apertura, ci vengono mostrate le due parti coinvolte, il Governo Talebano e il RAW (Research and Analysis Wing) – i servizi segreti indiani – seguendo così un contesto narrativo tipico di prodotti seriali come Homeland (2011 – in onda) di Gideon Raff, ma senza quel retorico patriottismo americano, frutto del dolore procurato dalla ferita ancora aperta dell’11 settembre.
Ne consegue che Bard of Blood è un semplice e puro prodotto d’intrattenimento che sa discostarsi dagli eventi, mostrandoci tutti i lati del Medio Oriente e della lotta al terrore.
Bard of Blood: narrazione dal ritmo vivace e “occidentale”
La narrazione di Bard of Blood, dal ritmo vivace, frenetico e fortemente “occidentale” – visto l’uso sovente di dilazioni temporali, si sviluppa così su più fronti, a partire dall’elemento umano del legame tra l’ex agente RAW Adonis/Kabir Anand (interpretato da Emran Hashmi) e Sadir Sheikh (Rajit Kapur) – oggi professore di letteratura inglese ma uomo vittima dei fantasmi del suo passato – e il suo ex-mentore che lo richiama all’azione dopo il rapimento di 4 agenti RAW da parte dei Talebani in Beluchistan.
In opposizione ci viene mostrato – attraverso una struttura narrativa a doppio binario parallelo – il rapporto tra il Leader supremo dei Talebani Mullah Khalid (interpretato da Danish Hussain) e l’agente dell’ISI (Inter-Services Intelligence) Tanveer Shehzad (interpretato da Jaideep Ahlawat) sul come gestire la legittimazione di tale Governo in un territorio – compreso tra Pakistan e Afghanistan – in cui i Talebani vengono considerati principalmente come un’organizzazione. I personaggi sul fronte nemico di Bard of Blood infatti, eccetto i sopracitati son tutti senza nome a sottolineare ulteriormente l’intento di non soltanto non prendere posizione, ma nemmeno legittimare determinate azioni.
Bard of Blood – il trailer ufficiale della serie indiana, da settembre su Netflix
Si delinea così un intreccio solido e avvincente, quello dell’epopea di Adonis e del suo esser stato costretto ad accettare una missione impossibile dove le minacce (e i relativi conflitti scenici), oltre che esterne, sono principalmente interne, date dalla diffidenza dei suoi stessi colleghi del RAW. Portando in scena una missione stealth tra alleati sotto-copertura come Veer Singh (interpretato da Vineet Kumar Singh) e agenti in cerca di poter affermare la propria identità sociale come la agente Isha Khanna (interpretata da Sobitha Dhulipala).
Un intreccio, in Bard of Blood, magari vittima di svolte narrative continue e sorprendenti ma leggermente “calcolate”; abbastanza però da tenere alto il ritmo lungo le 7 puntate del primo ciclo di episodi.
Bard of Blood: il bardo di sangue inizia proprio dal Macbeth
Scelta del titolo niente affatto casuale per Bard of Blood – dove in apertura di primo episodio viene citato il celebre soliloquio dell’Atto V Scena V del Macbeth di William Shakespeare del “Domani, e poi domani, e poi domani” che in un passaggio recita come “La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla.”
Adonis infatti è, come scrivevamo nel paragrafo precedente, un uomo dilaniato dal proprio passato che accetta però una vita da civile – vivendo come fosse un’ombra che cammina in un tempo ormai concluso; vita da cui viene strappato via ributtandolo dentro in un gioco da spia contro spia, che gli calza subito addosso. Adonis è infatti un indomito bardo di sangue, abilmente addestrato nel combattimento corpo a corpo – anche in luoghi angusti – a cui si unisce però una spiccata sensibilità ben resa dall’umanità espressiva di Emran Hashmi.
Bard of Blood: un gioiello nascosto del catalogo Netflix
Entrata quasi in sordina e senza troppi proclami nel catalogo Netflix, a differenza di prodotti di ben più appeal mediatico come The Politician (2019) di Ryan Murphy – Bard of Blood ha il potenziale per diventare il nuovo La Casa di Carta (2017- in onda), grazie a un intreccio suggestivo, il ritmo incalzante, e la spiccata umanità del protagonista con cui entrare immediatamente in empatia.
L’unico vero grande ostacolo, specie per chi è poco avvezzo ai sottotitoli, è che Bard of Blood è totalmente parlata in lingua originale (hindi-urdu); scelta intelligente, volta a rendere le avventure del Jack Ryan indiano ancora più realistiche e suggestive.