American Gigolò: recensione dei primi episodi della serie su Paramount+

2006. Il profilo di un uomo in una cella. Inizia così American Gigolò, la serie tv reboot costituita da 8 episodi, dal 27 settembre 2022 su Paramount+ – ogni martedì esce un episodio -, del film cult di Paul Schrader che nel 1980 porta al cinema American Gigolò, un film noir in cui si raccontava la storia di un gigolò, il bellissimo Richard Gere, invischiato in un misterioso caso di omicidio nella Los Angeles tutta lustrini e ricchezze. Come si può realizzare una serie che prende le mosse da un cult come quello? David Hollander (Ray Donovan) decide di adattare quel film per portare Jon Bernthal a recitare il ruolo di Julian Kaye, il bello e sexy gigolò, colpevole di aver ucciso una delle sue clienti.

Un uomo ancora molto legato al suo passato

Julian Kaye è in prigione perché è stato trovato dalla polizia accanto al corpo nudo e senza vita di una delle sue clienti, lui sporco del suo sangue e visibilmente turbato. C’è solo una possibilità: è il colpevole “giusto”, Julian è un gigolò, veste questo ruolo con tutto sé stesso e con tutto il fascino tenebroso con cui è stato preparato, ha tante clienti, donne mature, con tanti soldi. L’uomo continua ancora dopo 15 anni a dire alla detective Joan Sunday (Rosie O’Donnell) che non ricorda cosa sia successo, quando la donna lo interroga su cosa sia accaduto in quella stanza d’albergo; lei vuole convincerlo a confessare in modo che non abbia l’ergastolo. Tutto cambia quando un sicario, un serial killer, con un filo di voce, sul letto d’ospedale, ammette di aver commesso vari omicidi tra cui anche quello di cui sembrerebbe essersi macchiato Julian – il DNA lo conferma. Lui è un uomo libero a questo punto, ma la detective ammette che il lavoro della polizia gli ha rovinato la vita.

American Gigolò è un racconto del passato e del presente, tra passato e presente. La prima cosa che Julian fa è ritornare per la prima volta dopo tanto tempo alla roulotte in cui è cresciuto, quando era ancora conosciuto come Johnny. Si scopre che lui, giovanissimo (Gabriel LaBelle), subiva violenze da una vicina di casa ed è stato venduto dalla madre a Olga (Sandrine Holt), una donna che guidava una Rolls e che intendeva avviare e ad educare il giovane al piacere nella sua sontuosa casa di Los Angeles in cui vive anche la figlia di Olga, Isabelle (Lizzie Brocheré). Il viaggio nel passato non è finito perché ricorda il periodo in cui ha incontrato Michelle Stratton (Gretchen Mol) che era sposata, per lei provava sentimenti veri, un amore profondo ed è da lei che si reca per rivederla. La donna ha un marito e un figlio di 15 anni ed è fin troppo preoccupata a risolvere i problemi familiari: il ragazzo si è invaghito della sua insegnante con cui è scappato. Julian ritorna poi dal suo amico Lorenzo (Wayne Brady) che lo ha aiutato all’inizio della sua carriera. Non vuole tornare alla vita, ma quando la detective va da lui e gli dice che il sicario prima di morire ha fatto il nome della persona che gli ha commissionato l’omicidio; Julian capisce molte cose.

Questi primi tre episodi lavorano a gettare le basi della storia, conosciamo Julian, comprendiamo gioie e dolori, amori e tradimenti, povertà e ricchezza, solitudine e mancanze, scopriamo le origini del personaggio, i motivi per cui Johnny ha lasciato il posto a quell’uomo dal fisico scolpito, amato e desiderato dalle donne. È stato preparato per essere amante e “ascoltatore” per le sue clienti, non è quasi mai stato capace di ricevere ciò che offre, è stato usato spesso e, sembra chiaro che lui vuole solo una cosa: essere veramente visto e amato da qualcuno. L’uomo si interroga su cosa fare se tornare al suo vecchio mestiere come gli suggerisce Lorenzo o vivere una vita modesta in un fatiscente hotel sulla spiaggia di Venice con la sua empatica padrona di casa, Lizzy (Yolonda Ross). Le cose che gli capiteranno e di cui verrà a conoscenza gli faranno capire che ha solo una possibilità.

American Gigolò: tra film e serie, cosa è cambiato da ieri a oggi

Quando suona Call Me di Blondie, c’è una promessa e porta con sé delle aspettative, una tra tutte quella di assistere ad una rivisitazione moderna dell’iconico film con Richard Gere. Berthal è fascinoso, sensuale, indossa gli abiti di seta, spoglia le donne e le tocca per far loro scoprire sensazioni mai conosciute. La serie prende i personaggi principali del film, li reimmagina in una storia molto più triste che sembra più essere una storia di redenzione contorta di un uomo, venduto e molestato da adolescente, e poi diventato gigolò. Il film di Schrader si chiude quando Julian sfugge all’accusa di omicidio, quando la sua amante Michelle mente alla polizia e lo copre. La serie invece parte dal 2006 con Bernthal nei panni di Julian, accusato dell’omicidio, dietro le sbarre. Resta un racconto in cui si indaga ma manca completamente la fotografia di una società, gli anni ’80 così caratteristici e iconici che nascondevano dietro all’apparenza, a quelle fantasie edonistiche e narcisistiche, una profonda oscurità, ciò che emerge qui è ancor di più forse l’esistenza drammatica del protagonista che vuole capire e forse lenire le antiche ferite. Non sempre e non tutto si può ricucire e per questo è ancora più drammatico e doloroso perché quei vestiti, “da lavoro”, che ha indossato per molti anni, preparati sul letto, sono pronti a richiamarlo come il canto della sirena. Questo Julian esce da anni di galera per di più da innocente, è un uomo non più al passo coi tempi, in parte traumatizzato, desideroso di farsi una nuova vita ma allo stesso tempo legato e riportato a quella vecchia. Il tempo è passato, le vite hanno fatto il loro corso. L’attore è solitamente abilissimo a dare corpo a uomini apparentemente forti ma in realtà danneggiati e spezzati da traumi più o meno evidenti, qui porta una sfumatura di uomo in crisi che l’originale non aveva o almeno non in questo senso perché il periodo è diverso, Julian è diverso, è più maturo e ha scontato anni di galera.

American Gigolò: una serie che non riesce a colpire profondamente il pubblico

Bernthal interpreta bene la tragedia, è capace di portarci dentro il suo strazio, ma la scrittura non sempre sostiene il suo lavoro. I flashback fanno capire a cosa sta pensando, dove vorrebbe essere o cosa ancora lo fa soffrire ma la sensazione è che il giovane Johnny non sia davvero emerso e che sia bloccato in un passato che non lo sprona ad andare avanti ma anzi lo frena.

American Gigolò sembra essere qualcosa d’altro, qualcosa di estremamente diverso. Ha senso portare ai giorni nostri qualcosa che è stato cult negli anni ’80? Probabilmente no perché quel cult era tale in quanto figlio di un’epoca, di un mondo, ora è qualcosa di diverso che avrebbe potuto avere anche un altro titolo invece di avere quello di Schrader. I primi episodi non riescono a colpire fino in fondo, certo la storia non fa stare tranquilli perché la sensazione è che la vita dei personaggi possa crollare da un momento all’altro.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.6