Alien – Pianeta Terra: recensione della serie TV su Disney+

Alien: Pianeta Terra, su Disney+ dal 13 agosto 2025, è il primo spin-off seriale del franchise di Alien. Scritta e immaginata da Noah Hawley (Fargo), è anche un prequel del film del 1979.

Persino in un mondo serializzato dalla testa ai piedi, in cui tutto è franchise (o minaccia di diventarlo) e l’originalità langue, perché la ripetizione di vecchi ammuffiti modelli è considerata l’unico modo di rientrare dei tanti (troppi) soldi spesi; persino in condizioni così mortificanti per la creatività individuale, non si esclude la possibilità di incidenti di percorso. Alien: Pianeta Terra, la serie TV firmata Noah Hawley (Fargo; Legion), arriva su Disney+ con i suoi 8 episodi a partire dal 13 agosto 2025; i primi due il 13, quelli che restano al ritmo di uno a settimana. Nel cast figurano, tra gli altri, Sydney Chandler, Timothy Oliphant, Alex Lawther.

Spin-off seriale del franchise lanciato dal capolavoro di Ridley Scott del 1979 e funestato più di recente da revival o del tutto deludenti (Prometheus; Alien:Covenant) o accettabili ma troppo, troppo derivativi (Alien:Romulus), Alien: Pianeta Terra è l’incidente di percorso che serviva. Nasce per motivazioni opinabili – saccheggiare un franchise esistente è meno rischioso che tirarne su uno dal nulla – ma si riscatta con l’evidenza dei suoi risultati. Senza allontanarsi troppo dal canone, riesce ad aggiungere qualcosa di, magari non nuovo, ma vitale e interessante sì, dimostrando in maniera plastica che questo universo ha ancora qualcosa da dire. Uno su mille; è statistica, ed è capitato. Nell’era della serialità esasperata, un incidente di percorso. Di quelli belli, s’intende. Finalmente.

Alien – Pianeta Terra: meet the alien(s)

Ora viene il difficile, cioè stabilire cosa si può e non si può raccontare di Alien: Pianeta Terra. Spoiler, il solo che troverete nella recensione: molto poco. La storia è gelosa delle sue sorprese ed è meglio andarci piano, anche se da qualche parte bisogna cominciare. Dalle coordinate spazio temporali, per esempio. Alien: Pianeta Terra è uno spin-off e un prequel del film del 1979. È ambientato nel 2120, due anni prima della spedizione spaziale (con sorpresa) di Ellen Ripley (Sigourney Weaver) sulla Nostromo. Quanto allo sfondo, la Terra non è solo un’eco lontana per i personaggi. È importante. Molto.

Il mondo del XXII secolo è dominato dall’accanita competizione tra giganti dell’economia tech. Ci sono cinque compagnie che dominano il panorama, e quella di maggiore interesse per la storia è la Prodigy. Il boss della Prodigy, Boy Kavalier (Samuel Blenkin), ha idee interessanti sull’evoluzione umana, e pericolose. Come era il caso del film del 1979, Alien: Pianeta Terra rielabora l’identità in termini di fluidità estrema e spiccata ambiguità. Abbiamo i cyborg – umani potenziati con elementi artificiali – i sintetici – IA avanzatissime come Kirsh (Timothy Oliphant), braccio destro di Kavalier – e per finire gli ibridi, IA con qualcosa di umano dentro. Wendy (Sydney Chandler) è ibrida, una bambina in un corpo di donna. È il fiore all’occhiello della spedizione di Kavalier. Ha, o almeno crede di avere, un fratello, CJ (Alex Lawther). CJ è umano dalla testa ai piedi, e la cosa ha le sue conseguenze.

Alien: Pianeta Terra; cinematographe.it

Alien: Pianeta Terra non dimentica che uno speciale tipo di suspense, estremamente claustrofobica e opprimente, è il cuore emotivo del franchise. Con il primo film le cose si risolvevano nella stringata esenzialità di una nave spaziale, di un equipaggio ignaro e di un alieno assassino. Ora, accanto al mistero dello spazio profondo c’è la Terra, ma la storia ha buon gioco a non disperdere la carica horror raccolta dalla formula “alieno affamato e niente vie di fuga”. Quello che succede è che la nave spaziale USCSS Maginot, proprietà della Weyland-Yutani, compagnia rivale della Prodigy, “atterra” su Prodigy City con il suo carico di segreti (alieni). A prendersene cura sulla nave era l’enigmatico Morrow (Babou Ceesay), che non fa i salti di gioia al pensiero che il carico vada disperso. Il potenziale di pericolo è molto alto. Gli Xenomorfi sono solo una parte del problema.

Una primordiale lotta per la sopravvivenza

Alien: Pianeta Terra; cinematographe.it

Il paragone forse è pigro e può essere attaccato da più parti, ma regge se gli si riconosce il valore di innocuo pretesto che serve a far partire una discussione: Alien: Pianeta Terra può essere per Alien – a grandi linee – ciò che Andor è stato per Star Wars. Sarebbe a dire, lo spin-off leggermente fuori strada rispetto al canone che, senza sottomettersi alle convenzioni della storia madre – ma senza nemmeno tradirla – ne porta avanti spirito e tradizione, rovesciando le sorti creative e finanziarie di un franchise ammaccato. Detto in altri termini, Alien: Pianeta Terra è una boccata d’aria fresca per una saga che ne aveva un disperato bisogno. Scegliete la generalizzazione che più vi aggrada.

Quando si parla di deviazione dalla formula, è bene precisare che Noah Hawley non ribalta il franchise nel suo indiscusso punto di forza. Alien: Pianeta Terra è la stessa primordiale lotta per la sopravvivenza di sempre, solo proiettata su una tela di tipo diverso; estesa in durata (otto episodi di un’ora, sono circa 4 film uno dopo l’altro) e articolata negli ambienti (lo spazio + la Terra). C’è un mostro – più di uno, in realtà – che ci insegue, e bisogna trovare il modo di sfangarla. La serie affronta il problema in due modi. Disegna un’identità fluida e complessa, tripartita. Umani, ibridi, IA: chi e cosa si può definire davvero umano? Poi, affronta il problema basilare dell’esistenza – la lotta per la sopravvivenza – senza ansia di risposte.

Chi o cosa prevarrà, alla fine? La fame di profitto delle multinazionali? La rivoluzione disumanizzante delle IA? Il compromesso d’amore fraterno tra l’umano CJ e la mezza umana Wendy? O magari non c’è sopravvivenza, e il futuro è delle creature e della loro sbrigativa filosofia di vita? È bene che Alien: Pianeta Terra non si preoccupi di trovare risposte. Meglio ancora che stemperi il suo spessore in un bagno di azione brutale, a conferma della vocazione essenzialmente spettacolare del franchise. Alien: Pianeta Terra parla di ibridi ed è a sua volta un ibrido, di tensione e ruminazione esistenziale. La scrittura intelligente e “rumorosa” di Noah Hawley ha il merito di assestarsi su un ragionevole equilibrio di rapporti tra azione e riflessione. La storia alterna parentesi di suspense e adrenalinica vitalità a un incedere più contemplativo; a volte è pura azione, altre è riflessione, altre ancora l’ambigua armonia delle due. È spettacolo e intelligenza; più il primo della seconda e va bene così, è il format che lo richiede. Della sopravvivenza della serie, poi, deciderà (anche) il pubblico. 

Alien – Pianeta Terra: valutazione e conclusione

Ci sarebbe tanto altro da dire, sull’eleganza dell’immagine, sulla geometria della composizione, sull’estetica di (felice) compromesso che recupera il fascino sporco e granuloso del film del 1979 senza perdere nulla in termini di leggibilità e modernità della confezione. Si potrebbe continuare con i richiami all’attualità. Se lo storytelling sull’intelligenza artificiale è nel franchise dall’inizio, la rappresentazione di un capitalismo rapace che riscrive le regole della vita, dell’evoluzione, della società e della politica nel nome del profitto – il Boy Kavalier di Samuel Blenkin è il figlio problematico di Samuel Altman e Elon Musk – è un impietoso ritratto del presente e una fosca previsione su quello che verrà.

L’ultima parola è sul cast. Oltre al gelidamente disumano Kirsh di Timothy Oliphant, nel quadro di una serie che cerca di disegnare un nuovo modo di essere umani (senza dimenticare cosa sia davvero umano e cosa no), due nomi vanno isolati. Sydney Chandler, la cosa più vicina a una protagonista – mostri a parte – per la serie; la sua Wendy è una donna bambina dalle infinite possibilità, un’intelligenza e una visione dell’umanità superiori manifestate in slanci di infantile e fragile entusiasmo. Una soluzione interessante. E poi Babou Ceesay; Morrow è un uomo che ne ha viste troppe ma nasconde la sua interiorità infuocata dietro un’intelligenza glaciale e un severo controllo delle proprie emozioni. In entrambi i casi, il gioco di paradossi racconta la densità ambiziosa di Alien: Pianeta Terra. Una rarità. Spettacolo, ma con idee.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.6