Scarlett Johansson: “Dopo Lost in Translation mi sono sentita sfruttata. Trattata come un oggetto dagli uomini”
Scarlett Johansson ricorda gli inizi della sua sfavillante carriera ad Hollywood.
Scarlett Johansson è una delle attrici più iconiche del nostro tempo, capace di spaziare con disinvoltura tra cinema d’autore e colossal hollywoodiani. Eppure, dietro il volto perfetto da copertina e la carriera brillante, si nasconde un percorso a tratti amaro, segnato da aspettative, etichette e uno sguardo maschile che, per anni, ha ridotto il suo talento a un semplice oggetto del desiderio.
In un’intervista rilasciata al podcast Table for Two, l’attrice è tornata a parlare del periodo che seguì l’uscita di Lost in Translation (2003), il film cult diretto da Sofia Coppola che la consacrò a livello internazionale quando aveva appena 18 anni. Un’opera che, se da un lato ha segnato la svolta della sua carriera, dall’altro ha dato il via a una narrazione tossica attorno alla sua immagine: “Stavo ancora scoprendo la mia femminilità, imparando a conoscere me stessa,” ha raccontato. “Eppure mi sono ritrovata subito ingabbiata nel ruolo della donna desiderabile. Mi sentivo costretta a diventare ciò che gli uomini volevano che fossi.”

A quell’epoca, aggiunge Johansson, l’industria non era pronta a gestire una giovane attrice che voleva affermarsi per il suo talento, e non per la sua avvenenza. Ruoli come quello ne La ragazza con l’orecchino di perla o lo stesso Lost in Translation – apparentemente delicati e raffinati – finirono per rafforzare l’immagine di una bellezza silenziosa e contemplativa, che nel dietro le quinte si traduceva in un’etichetta difficile da scrollarsi di dosso: “Mi comportavo come un oggetto del desiderio e mi sono ritrovata intrappolata in questa dinamica. Non riuscivo a uscirne.”
In una successiva intervista a Vanity Fair, Johansson è andata ancora più a fondo: “Mi sono sentita sfruttata dopo Lost in Translation. Ero trattata come un oggetto dagli uomini.” Nonostante riconosca il valore artistico del film, Scarlett non nasconde che la fama che ne derivò fu accompagnata da attenzioni sbagliate, sguardi invadenti, aspettative riduttive. Nessuno, nemmeno i suoi rappresentanti, seppe come proteggerla o guidarla in una direzione diversa: “I miei agenti si limitavano a reagire a ciò che l’industria voleva. Era la norma. Ma il sistema era sbagliato.”
Anche le dinamiche sul set non furono delle più serene. Bill Murray, suo co-protagonista, stava attraversando un periodo difficile, e la tensione si respirava nell’aria: “La troupe era sulle spine. Lui era in un momento complicato della sua vita.” Tuttavia, nonostante il contesto teso, Johansson ha scelto di reagire con professionalità: “Sono molto orgogliosa di come mi sono comportata. Mi sono concentrata sul mio lavoro. È la strategia migliore per andare avanti.”
Oggi Scarlett Johansson è molto più della giovane donna misteriosa che osservava Tokyo da una finestra d’hotel. È una protagonista affermata, capace di passare da Marriage Story a Black Widow, da Her a Jojo Rabbit, senza mai perdere la propria cifra distintiva. E, soprattutto, è una voce che oggi non ha paura di raccontare, con lucidità e coraggio, ciò che per troppo tempo è stato taciuto: quanto possa essere difficile, per una donna, crescere sotto i riflettori senza perdere se stessa.
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