Pretty Little Liars: Sasha Pieterse racconta gli anni delle riprese, fra aumento di peso e diagnosi di epilessia
Dalla fama di Pretty Little Liars alla battaglia silenziosa con la PCOS: la verità di Sasha Pieterse.
Quando si parla del suo percorso di salute, Sasha Pieterse non ha nulla da nascondere. L’attrice, che per anni ha vestito i panni dell’iconica Alison DiLaurentis in Pretty Little Liars, ha svelato di aver vissuto un vero calvario dietro le quinte, mentre il pubblico la vedeva come la “it girl” della serie.
Sasha Pieterse e la PCOS: la battaglia dietro le quinte di Pretty Little Liars

“Ho iniziato a stare male senza capire il perché”, ha raccontato nel podcast SHE MD. “Mi avevano appena diagnosticato l’epilessia, cosa che nessuno sapeva, e intanto arrivavano le crisi, il peso che aumentava e un corpo che sembrava impazzito”.
Fin dall’infanzia, Sasha aveva cicli irregolari e pensava fosse normale, che col tempo tutto si sarebbe sistemato. Ma non è andata così. “A 17 anni avevo preso 70 chili, avevo crisi epilettiche, acne, perdita di capelli. Tutto in silenzio, mentre recitavo la parte della ragazza perfetta”.
La parte peggiore? I medici. “Sono andata da 17 ginecologi“, ha detto. “Per tutti era solo colpa della dieta o del movimento. Ma se avessi mangiato più insalata, sarei diventata verde”.
Alla fine la risposta è arrivata: sindrome dell’ovaio policistico, o PCOS. Una diagnosi che per lei è stata quasi una liberazione. “Finalmente sapevo che non ero pazza. C’era un nome, un problema reale. E quindi anche un modo per affrontarlo”.

Parlare, per lei, è stato come scoperchiare un formicaio silenzioso. Donne ovunque, la stessa ferita cucita dentro, ognuna rinchiusa nel proprio mutismo. “È una malattia che ti scava di nascosto”, dice Sasha. “E finché resti zitta, ti convinci di essere l’unica. Poi ti accorgi che non lo sei”.
Ma a quel punto ci è arrivata passando per anni che sembravano macerie: diete che non portavano a nulla, settimane inghiottite dalla depressione, il corpo visto come nemico, il giudizio degli altri che ti si appiccica addosso come sudore. “Mi rinfacciavano che era tutta colpa mia”, conclude. “Io invece ho continuato a bussare, finché qualcuno, finalmente, ha aperto”.
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