Michael J. Fox stremato dal Parkinson: “vorrei morire serenamente”
Trentacinque anni di malattia non l’hanno spezzato. Ma lo hanno cambiato per sempre.
Michael J. Fox convive con il Parkinson da più di metà della sua vita, e lo fa senza retorica. A sessantacinque anni, dopo trentacinque passati a misurarsi ogni giorno con la malattia, si esprime sulla morte con la stessa franchezza asciutta che negli anni lo ha reso un punto di riferimento, più per il modo in cui vive che per ciò che dice.
Michael J. Fox e i 35 anni con il Parkinson

Aveva ventinove anni quando, nel 1991, gli diagnosticarono la malattia neurodegenerativa. “Non c’è una linea del tempo, non ci sono stadi precisi da attraversare, non come per un tumore alla prostata. È qualcosa di molto più misterioso e indecifrabile”, ha raccontato al Sunday Times.
Michael J. Fox sta promuovendo il suo nuovo memoir, Future Boy, e quel titolo sembra essere già abbastanza eloquente: il ragazzo che correva in skateboard in Ritorno al Futuro è rimasto, ma ora osserva il mondo da un’altra prospettiva. Non parla più di speranza o paura, ma di accettazione. “Non sono molti quelli che vivono trentacinque anni con il Parkinson. Vorrei solo non svegliarmi un giorno. Sarebbe bello. Non voglio che sia drammatico. Non voglio inciampare nei mobili o spaccarmi la testa”.
Con il Parkinson, il cervello si deteriora lentamente. “Posso camminare, ma non è bello da vedere, e un po’ pericoloso. Quindi me lo faccio andare bene, fa parte della mia vita ormai”, ha detto.

Nell’intervista a People, ha spiegato che ogni mattina il corpo gli comunica il tono della giornata: “Ricevo il messaggio e mi adatto. Ogni giorno c’è una sfida nuova, ma passo anche questa”.
Dopo aver annunciato il ritiro nel 2020, Fox è tornato davanti alla macchina da presa con Shrinking, la serie Apple TV+ dove recita al fianco di Harrison Ford. Ma il suo impegno più costante resta la Michael J. Fox Foundation, che da oltre vent’anni spinge la ricerca sul Parkinson come una produzione senza fine. “Dopo trentacinque anni, questa è semplicemente la mia vita”, ha concluso. “E non la considero più una condanna, ma un compito: capire, insieme, come arrivare alla cura”.
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