Addio a James Foley, regista di House of Cards e Cinquanta sfumature
La notorietà grazie al sodalizio con Madonna.
Hollywood saluta James Foley, regista raffinato e versatile che ha attraversato oltre tre decenni di cinema, televisione e videoclip musical. È morto a 71 anni nella sua casa di Los Angeles, dopo una lunga malattia dovuta a un tumore al cervello. A dare la notizia è stato il suo agente, parlando di una scomparsa serena, avvenuta nel sonno.
Foley è stato molto più di un semplice “regista al servizio”: ha saputo alternare il mainstream al cinema d’autore, il dramma alla tensione erotica, la televisione di prestigio al videoclip musicale. Le sue ultime regie sono note al grande pubblico per House of Cards – di cui ha diretto 12 episodi tra il 2013 e il 2015 – e per i due capitoli finali della trilogia Cinquanta sfumature: Fifty Shades Darker (2017) e Fifty Shades Freed (2018).

Nato a New York il 28 dicembre 1953, James Foley era cresciuto a Brooklyn, sognando il grande schermo. Dopo il trasferimento in California per studiare cinema, la sua strada incrociò quella del regista Hal Ashby, che ne intuì subito il potenziale. Anche se il progetto che li avrebbe dovuti unire non si concretizzò, quell’incontro fu il primo passo di una carriera destinata a decollare. Il debutto ufficiale avvenne nel 1984 con Amare con rabbia, ma la notorietà arrivò poco dopo grazie alla collaborazione con Madonna: Foley diresse alcuni dei suoi videoclip più iconici – Papa Don’t Preach, True Blue, Live to Tell – e anche il film Who’s That Girl? (1987), primo (e poco riuscito) tentativo della popstar di affermarsi come attrice.
Il suo talento si impose con A distanza ravvicinata (1986), dramma familiare con Sean Penn e Christopher Walken, ma il vero punto di svolta arrivò con Americani (1992), adattamento della pièce di David Mamet. Il film, interpretato da un cast stellare – Al Pacino, Jack Lemmon, Alec Baldwin, Kevin Spacey – è un feroce ritratto dell’avidità americana nel mondo delle vendite immobiliari, oggi considerato un classico. Quello di Foley era un cinema abitato da uomini alienati, spesso compromessi, immersi in dinamiche di potere, manipolazione e tradimento. Film come Paura (1996), con un giovane Mark Wahlberg in un ruolo disturbante, o Confidence (2003), elegante noir con Edward Burns e Dustin Hoffman, ne testimoniano la coerenza tematica e la cura stilistica.
Dopo qualche battuta d’arresto, come l’esperienza poco felice di Perfect Stranger (2007), Foley trovò nuova linfa nella serialità. Fu David Fincher a volerlo alla regia di House of Cards, la serie che ha inaugurato l’era d’oro di Netflix. In seguito ha lavorato anche a Billions (2016). James Foley non ha mai amato le etichette. “Non mi interessa ripetermi,” dichiarava. “Scelgo i progetti che mi attraggono, anche se non sempre funzionano.” Dietro la macchina da presa era meticoloso, ma soprattutto profondamente empatico. “I migliori attori vogliono essere diretti,” diceva. “Quando c’è sintonia, si ottengono risultati straordinari.”