Israele candida The Sea agli Oscar: esplode la polemica

Il ministro della cultura israeliano ha tagliato i fondi pubblici agli Ohir Awards, dopo la "vittoria" del film The Sea, che racconta la storia di un bambino palestinese

Il ministro della cultura israeliano Miki Zohar ha annunciato il ritiro dei finanziamenti pubblici agli Ophir Awards, i premi nazionali del cinema israeliano. La decisione, comunicata il giorno successivo alla cerimonia, arriva dopo la vittoria del film The Sea, che racconta la storia di un ragazzo palestinese di 12 anni.

Diretto da Shai Carmeli-Pollak, The Sea narra il viaggio di un bambino della Cisgiordania che rischia la vita pur di vedere per la prima volta il mare di Tel Aviv. La pellicola, premiata come miglior film dell’anno, diventa così il candidato ufficiale di Israele agli Oscar nella categoria miglior film internazionale.

Per Zohar, la scelta della giuria è stata “una vergogna” e “uno schiaffo ai cittadini israeliani e ai nostri soldati”. Da qui l’annuncio: dal prossimo anno gli Ophir Awards “non saranno più finanziati con denaro pubblico”. Le tensioni erano già emerse con le nomination, che includevano titoli controversi come Yes di Nadav Lapid, satira sulla responsabilità morale israeliana a Gaza, e Oxygen di Natali Braun, incentrato sul rifiuto del servizio militare.

La cerimonia è stata segnata da prese di posizione: molti invitati hanno indossato abiti neri in ricordo delle vittime del conflitto, citando sia gli ostaggi israeliani del 7 ottobre 2023 sia le vittime civili a Gaza.
Il tredicenne Muhammad Gazawi, premiato come miglior attore per The Sea, ha lanciato un appello: “Che tutti i bambini possano vivere e sognare senza guerre”. Assente invece Khalifa Natour, miglior attore non protagonista, che in un messaggio ha condannato la guerra: “Non trovo parole per descrivere l’orrore. Tutto il resto diventa secondario”.

La tensione sul fronte culturale è accresciuta anche dall’appello firmato da oltre 1.300 cineasti internazionali – tra cui Olivia Colman, Mark Ruffalo e Tilda Swinton – per boicottare le istituzioni cinematografiche israeliane, accusate di complicità “nel genocidio e nell’apartheid contro il popolo palestinese”.

A riportare l’attenzione sul ruolo della cultura è stato Uri Barbash, premiato alla carriera, che dal palco ha attaccato il governo Netanyahu e respinto il boicottaggio di Hollywood: “Creeremo, protesteremo e sciopereremo insieme, ebrei e arabi, religiosi e laici. La dignità umana non ha confini etnici o geografici”.