Indiana Jones e il Quadrante del Destino: svelati i segreti dietro il de-aging di Harrison Ford

La pellicola, a quanto pare, non ha fatto ricorso all'intelligenza artificiale per questa procedura.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino è il recente lungometraggio diretto da James Mangold (Logan – The Wolverine, Ford vs. Ferrari) che segna, per l’ultima volta, la presenza di Indy sul grande schermo, con anche Harrison Ford che ha confermato che si tratta dell’ultima apparizione del personaggio. Una pellicola, presentata qualche mese al Festival di Cannes e che perlopiù ha raccolto pareri contrastanti. Tra gli elementi più dibattuti, sicuramente, c’è il prologo del film, ambientato nel 1939, con il protagonista che è stato ringiovanito digitalmente con la famosa tecnica del de-aging. Tra chi ha lodato i miglioramenti rispetto al passato e chi, invece, continua a criticare il risultato finale, quello che c’è da dire è che il lavoro dietro tale elemento è mastodontico.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino è arrivato nelle sale italiane il 28 giugno 2023

Indiana Jones - Cinematographe

In un recente focus di Variety sull’argomento, è emerso che, per realizzare il ringiovanimento di Ford sono stati impiegati più di 100 artisti e che quindi non c’è nessun ausilio di intelligenza artificiale per realizzare questo. Un grandissimo risultato ottenuto dall’Industrial Light and Magic, fondata da George Lucas nel 1975 e che da qualche tempo è sussidiaria della stessa Lucasfilm (anche se i loro servizi sono stati impiegati per tantissimi progetti differenti, anche al di fuori dello spazio Disney). Il supervisore degli effetti speciali, Andrew Whitehurst, ha così specificato la procedura:

“Sapevamo che avremmo dovuto utilizzare tutti gli strumenti che avevamo già e svilupparne di nuovi. Ciò ha comportato mettere Harrison attraverso il processo di registrazione di tutte le esibizioni facciali e tutti i suoi estremi, e il matrimonio di varie tecnologie da parte degli artisti per fondersi tra l’una e l’altra per ottenere la performance finale. L’aspetto importante è che non c’è una singola ricetta che è stata preparata che potrebbe essere fatta per tutti gli scatti. Ci siamo assicurati di girare con telecamere extra collegate alla telecamera dell’unità principale in modo da poter ottenere il maggior numero possibile di riferimenti. Dal lato ILM c’erano alcune centinaia di artisti coinvolti nel processo dall’inizio alla fine, lavorando sulle varie inquadrature. Stavano lavorando su ogni sfumatura in ogni inquadratura. Ma siamo stati in grado di raggiungere questo obiettivo perché la fiducia nella performance di Harrison era della massima importanza. Era la principale forza trainante di ciò che dovevamo fare per quell’atto di apertura e fare un atto più giovane di quella performance esatta.”

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