Giffoni 2015: il nostro incontro con Mark Ruffalo

Non solo Hulk. Dopo il successo ottenuto al botteghino con Avengers – Age Of Ultron, Mark Ruffalo si racconta in conferenza stampa del Giffoni Film Festival, dove viene accolto con grande calore dai giornalisti in sala. Chi è Mark Ruffalo? Non è solo un supereroe, ma un padre e un marito, orgoglioso delle sue origini italiane – come si può notare dal suo profilo su Instagram, dove ha postato immagini della sua Sorrento. E’ un attore simpatico, alla mano, la cui prima battuta è sul caldo africano che sta invadendo la nostra pellicola. “E’ sempre così freddo qui?” Tra Foxcatcher, il film che gli ha dato la prima nomination agli Oscar, a The Normal Heart, ecco il resoconto della conferenza stampa.

Qual è la sua impressione di questo Festival?

L’amore innocente che questi ragazzi dimostrano per il cinema mi sembra il tema chiave di questa manifestazione e anche il fatto di condividere tanto e raccontare storie mi dice che questa è una forma indovinatissima di questo amore tra loro e il cinema.

Si aspettava lui che, ha delle origini calabresi, il sud dell’Italia riservasse delle sorprese così importante in campo cinematografico, osannato da tanti così come Robert De Niro, Meryl Streep e tanti altri che sono venuti qui?

In verità non me l’aspettavo, ma non sono sorpreso. Conoscendo la mia famiglia, voi avete gusto.

Quando eri bambino quale supereroe sognavi di essere?

Hulk. E andando avanti con gli anni, Wolverine, ma qualcuno ha già ottenuto quella parte ed è molto bravo, perciò va bene così.

Che cosa si prova a ricevere una telefonata e sentirsi dire: Hulk sei tu, e sopratutto qual è la tua forma di preparazione per un personaggio che ha scene quasi sempre virtuali?

Sono andato a dormire la notte prima e mi hanno detto: “Tu stasera vai a dormire. Se domani alle 4 trovi una limousine nera davanti casa, allora vuol dire che la parte è tua. Altrimenti, torni a dormire.” E quindi era lì, e io sono stato felicissimo. Quello che mi ha aiutato moltissimo con questa nuova tecnologia è stato il teatro, che è l’arte più antica dove è nato lo spettacolo. Nell’arte c’è bisogno di grande immaginazione e quindi per immaginare di vedere 1000 persone laddove ne vedevo 60, questo aiuta moltissimo nel rafforzamento della scena virtuale che poi ti trovi a girare in CGI con le nuove tecnologie.

Il tema del Festival è ‘Carpe Diem – Seize the day’, qual è stato il ‘carpe diem’ della tua vita? 

Vedo il Carpe Diem come un lancio nel vuoto senza rete. Ad un certo punto, intraprendere le vie della recitazione è stato il mio Carpe Diem, Cogli l’attimo. Anche quando ho incontrato le resistenze di chi mi sconsigliava di fare questo lavoro. Il mio Carpe Diem è stato quindi lanciarmi in questo vuoto per ritrovarmi qui.

In un anno così importante in cui negli Stati Uniti sono stati legalizzati i matrimoni tra omosessuali, come avrebbe reagito Ned e cosa ne pensi tu.

So come mi sono sentito e sono stato molto felice, anche se è una felicità un po’ dolce-amara, perché c’è voluto molto tempo per ottenere qualcosa che era giusto. Vi posso dire come si è sentito Larry Kramer, perché lo conosco, è una persona reale e l’ispirazione che ha ispirato il personaggio di Ned. Quando lui ha saputo questa notizia ha reagito dicendo: “Non stiamo facendo abbastanza! Dobbiamo fare di più!” perché c’è ancora il problema dell’AIDS che deve essere debellato e quindi dobbiamo insistere. Ma so che segretamente si è raccolto in se stesso e ha pianto di gioia.

Cosa conservi della tua cultura italiana? Ci puoi raccontare qualcosa sui prossimi progetti?

Anche se la mia famiglia ormai sta negli Stati Uniti da tanti anni, fin dall’Unificazione, loro sostanzialmente hanno formato quello che io sono, ed è questo della cultura italiana che ho in me. Non sono stato consapevole di quanto la mia italianità sia forte fin quando sono venuto qui in Italia dove ho riscontrato che io sono molto più italiano di quello che credevo, perché mi rispecchio nella vostra-nostra cultura. Ho un film che deve uscire prossimamente che si chiama Spotlight, che è un film molto importante per la tematica che porta.

Quali sono stati i film che ti hanno fatto innamorare del cinema e scegliere di fare questo lavoro?

Marlon Brando e Jerry Lewis. Quando avevo sette anni , mia nonna ci metteva tutti a dormire e ogni tanto mi consentiva di venire giù con lei a vedere film in orari notturni. Lei si sedeva, fumava una sigaretta, e a me è capitato di vedere Un Tram Che Si Chiama Desiderio con Brando. Quando l’ho visto, mi son chiesto: “Chi è lui? Cosa sta facendo?” E’ stato un momento di scoperta. Poi mi sono ispirato, e continuo a farlo, a Jerry Lewis e alla sua commedia degli anni cinquanta e sessanta.

Cosa pensi delle differenze, spesso consistenti, tra i supereroi Marvel nelle versione cinematografiche e gli originali dei fumetti cartacei? Mi riferisco, ad esempio, al rapporto tra Hulk e Black Widow. E cosa ne pensi di un film su Hulk?

Quando ero ragazzo leggevo i fumetti e sono cresciuto con essi. Quando ho iniziato a fare film, li ho ripresi proprio per rendermi conto anche delle differenze e delle somiglianze. Credo che in una certa misura sia positivo che prendano strade diverse perché bisogna tener conto che sono due mezzi diversi che permettono a noi attori, nel momento in cui andiamo ad interpretare una parte, la possibilità di esplorare dei territori un po’ in maniera diversa, aggiungere dei colori, caricare degli aspetti e creare il nostro personaggio al di là di com’è nei fumetti. Bisogna lasciare un po’ all’immaginazione, senza svelare tutto. So che c’era stato quest’accenno di love story tra la Vedova Nera e Hulk ma non mi piace dire troppo, bisogna vedere cosa succederà. Per quanto riguarda il film, chi può dirlo. Ce ne sono stati già due-tre (di Hulk), perché non farne un quarto o un quinto? Chissà se il pubblico voglia vedere un Hulk che comincia a ingrigire dappertutto e se invece di “Incredibile Hulk” diventa “Incredibile Bulk”, cioè “sovrappeso”.

Una domanda su Foxcatcher, che ti ha dato la nomination all’Oscar. Tu, Steve Carell e Channing Tatum avete dovuto fare un lavoro intenso per ottenere il risultato di far arrivare allo spettatore sentimenti forti di amore e odio?

Abbiamo lottato un sacco. Io e Channing siamo molto competitivi per natura, e questo può essere già molto intenso. Abbiamo lavorato per sette mesi ed è stato molto difficile per tutti noi, così abbiamo creato un legame molto stretto.

Nel tuo percorso di attore ti sei sempre sentito un supereroe anche nei momenti di difficoltà?

Non mi sono mai sentito un supereroe. Sono anche sentito sorpreso che mi sia offerta questa parte. Penso che tutti noi dobbiamo affrontare le nostre difficoltà e bisogna spingere per andare avanti.

La cucina è il piatto forte della tua italianità. Dal punto artistico, conosci il cinema di oggi? Parli italiano o conosci qualche parola?

Le parolacce? Mi piace ispirarmi a Marcello Mastroianni che è un mito per me. E’ stato affascinante, ha dato tutto se stesso al genere umano, grazie al buon cinema, dando la capacità di riflettere, sopratutto guardando il cinema neorealista. Spero di riuscire un giorno a dare tutte queste sfaccettature come ha saputo fare questo buon cinema. Cerco di attingere alle mie radice italiane per dare il meglio nella mia recitazione.