Brad Pitt ammette: “David Fincher ha salvato la mia carriera. E forse anche me”

Prima di diventare uno degli attori più rispettati (e ambiti) di Hollywood, Brad Pitt ha attraversato un momento buio, quello che lui stesso definisce “il periodo più malsano” della sua vita. E non lo dice con leggerezza. Ospite del podcast Armchair Expert condotto da Dax Shepard, l’attore ha raccontato di aver vissuto un’estate del 1994 segnata da apatia, stordimento e crisi esistenziale, nonostante il successo in rapida ascesa. “Mi svegliavo, mi facevo una canna, bevevo quattro Coca-Cola con ghiaccio. Niente cibo. Guardavo il processo a O.J. Simpson tutto il giorno e mi chiedevo: ‘Che diavolo sto facendo?’”

La svolta arrivò con una sceneggiatura. Anzi, la sceneggiatura: Se7en. Inizialmente, però, non fu amore a prima vista. “Leggo le prime sette pagine e penso: ‘Il vecchio detective stanco, il giovane pieno di entusiasmo… già visto’. Ma la mia manager, Cynthia, mi ha detto: ‘Finiscila e basta’.” Quel consiglio si rivelò fondamentale. Quando Pitt incontrò David Fincher, il regista che avrebbe cambiato la sua traiettoria, tutto cambiò: “Fincher parlava di cinema come nessuno aveva mai fatto con me. È stato come se qualcuno avesse riacceso l’interruttore. Mi è tornata voglia di recitare. Se7en mi ha restituito la motivazione.”

Il film, uscito nel 1995, è oggi un cult assoluto: un noir disturbante e stilizzato che ha consacrato Fincher e rilanciato Pitt, affiancato da Morgan Freeman, Gwyneth Paltrow e un inquietante Kevin Spacey. Un film che ha dimostrato che un attore bello può essere anche dannatamente bravo – se trova la storia giusta e il regista giusto. Quella collaborazione con Fincher non sarebbe stata l’ultima. I due avrebbero lavorato di nuovo insieme in Fight Club (1999) e Il curioso caso di Benjamin Button (2008). Ma tutto è cominciato lì, con sette peccati capitali e un attore che, in fondo, cercava redenzione.

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