Kathryn Bigelow spiega il finale di A House of Dynamite: “Il vero nemico è il sistema che abbiamo costruito”
Il film è il racconto dei 18 minuti successivi al lancio di un missile nucleare
Dopo quasi dieci anni di silenzio, Kathryn Bigelow torna al cinema politico con A House of Dynamite, il suo nuovo film approdato su Netflix. La regista premio Oscar di The Hurt Locker e Zero Dark Thirty firma un thriller che non lascia spazio al respiro: un racconto in tempo reale che esplora cosa accade nei 18 minuti successivi al lancio di un missile nucleare contro gli Stati Uniti.

Più che l’attacco in sé, Bigelow si concentra su ciò che accade dopo. O meglio, su come accade: “Diciotto minuti per decidere il destino del mondo, con informazioni parziali e nessuna certezza”, spiega la regista in un’intervista per Netflix. “Sbirciamo nei corridoi del potere, dove individui altamente competenti si ritrovano travolti da confusione, caos e impotenza”.
Scritto da Noah Oppenheim (Jackie), il film si sviluppa in tre prospettive parallele: la Situation Room della Casa Bianca, il Comando Strategico in Alaska e infine lo sguardo del Presidente degli Stati Uniti, interpretato da Idris Elba. Ogni blocco ripercorre lo stesso evento, ma da un punto di vista diverso, rivelando nuovi dettagli e alimentando una tensione crescente.
Il primo atto ci introduce a una mattina qualunque per i protagonisti: Rebecca Ferguson nei panni del Capitano Olivia Walker si prepara per una giornata di lavoro nella Sala Situazioni, mentre Anthony Ramos interpreta il Maggiore Daniel Gonzalez, di base in Alaska, che cerca di lasciarsi alle spalle una lite familiare. Ma quando un missile intercontinentale sconosciuto appare sui radar, la routine si trasforma in panico. All’inizio sembra un’esercitazione, poi la traiettoria si stabilizza: è un attacco reale.

Bigelow sceglie deliberatamente di non rivelare mai l’origine del missile, spostando l’attenzione su un nemico meno visibile: “L’antagonista è il sistema che abbiamo costruito per porre fine al mondo in un batter d’occhio”, dichiara la regista. Quel sistema fatto di protocolli, catene di comando e logiche militari che, in un attimo, rivelano tutta la loro fragilità. “Molti di questi processi burocratici e militari sono davvero così”, aggiunge Tracy Letts, che nel film interpreta il generale Brady. “È prezioso mostrare che le decisioni più gravi possono nascere nel caos, nella disorganizzazione, nel dubbio. È esattamente così che accadrebbe”.
Nel terzo atto, Bigelow concentra il focus sul Presidente, costretto a decidere se rispondere al fuoco. In quei minuti sospesi, la regista chiude il film con una frase che dà senso al titolo e al suo messaggio più profondo: “Ho ascoltato un podcast in cui qualcuno diceva: ‘È come se avessimo costruito una casa piena di dinamite. Abbiamo messo bombe e progetti ovunque, e ora i muri stanno per esplodere. Ma noi continuiamo a viverci dentro.’”
È questa la metafora che regge l’intero film. A House of Dynamite non parla solo di armi nucleari o di geopolitica, ma della trappola collettiva che l’umanità ha costruito per sé stessa. “Voglio che il pubblico esca dal film chiedendosi: E adesso?”, conclude Bigelow. “Viviamo in una casa fatta di dinamite. E finché non decideremo di disinnescarla, continueremo a convivere con la paura di vederla esplodere.”
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