Killing Eve 3: analisi e spiegazione della serie TV su Sky Atlantic

La prima stagione, grande. La seconda, ottima. E la terza? Analisi e spiegazione di Killing Eve 3, disponibile su Sky Atlantic dal 16 maggio 2023.

Le cose cambiano, eccome se cambiano, Killing Eve 3, uscita nel 2020 e disponibile nella sua interezza (8 episodi) su Sky Atlantic a partire dal 16 maggio 2023. Le parole hanno un peso. Cambiamento, qui, significa qualcosa di più complesso e sfaccettato di un colpo di scena ben assestato o di un’inversione a u della narrazione. È quasi un marchio di fabbrica, per la serie, sapersi reinventare in modo strutturale – davanti e dietro la macchina da presa e non soltanto in termini di storytelling e psicologie – con tutti i rischi del caso. Anche nella terza stagione, come al solito, tutto comincia con il consueto avvicendamento di showrunner (sceneggiatore capo e sovrintendente creativo). Dopo Phoebe Waller-Bridge per la prima stagione, Emerald Fennell per la seconda, stavolta è il turno di Suzanne Heathcote. Se la dinamica centrale resta invariata – il contorto gioco del gatto e del topo tra Eve Polastri (Sandra Oh) e la micidiale killer trasformista Villanelle (Jodie Comer) – un pizzico di novità interviene a definire la complessa interiorità di quest’ultima. Qualcosa di simile a un’anima, o giù di lì.

Eve e Villanelle, un legame forte e complicatissimo

Killing Eve cinematographe.it analisi e spiegazione

Eve Polastri è, era, un valido agente del controspionaggio britannico. Villanelle, era, è, la più spietata e amorale killer del pianeta. Buona parte dell’architettura narrativa della serie poggia sul morboso, intossicante, liberatorio rapporto di attrazione-repulsione tra le due protagoniste. Eve e Villanelle sono contemporaneamente amiche e nemiche, amanti, avversarie, colleghe e spiriti affini. Il vuoto interiore che le contraddistingue trova riposo soltanto quando sono una accanto all’altra, ma stare insieme non significa granché di fronte all’oceano di incompatibilità, affettive, morali e pratiche, che rendono la convivenza impossibile e l’armonia un miraggio. La seconda stagione era finita male. Villa Adriana, Tivoli. Una separazione brutale. Villanelle propone a Eve di fuggire insieme. Eve rifiuta. Villanelle spara a Eve, spara per uccidere. In realtà Eve non muore ma ciò non toglie che, all’inizio di Killing Eve 3, siano lontane anni luce l’una dall’altra, Sandra Oh e Jodie Comer. Pronte a costruirsi una nuova vita.

È la Comer, stavolta, a prendersi la luce dei riflettori. L’equilibrio spezzato in favore di una maggiore attenzione al vissuto e all’intimità di Villanelle, fuggita in Spagna a recitare la parte della vedova oltraggiata, sinceramente convinta della morte di Eve e alle prese con un nuovo supervisore, Dasha (Harriet Walter) perché Konstantin (Kim Bodnia), il vecchio boss, comincia a pensare alla pensione. Eve invece resta in Inghilterra, mollata l’agenzia, a sgobbare nella cucina di uno squallido ristorantino coreano mentre prova a raccogliere i cocci del rapporto compromesso con il marito Niko (Owen McDonnell). Ci pensa indirettamente Carolyn (Fiona Shaw), l’ex capo di Eve, ad accendere di nuovo la vita delle due protagoniste. Il privato di Carolyn è scosso da una serie di traumi che è bene non spoilerare; bisogna indagare per scoprire il responsabile ma, dato il ruolo di prestigio che riveste all’interno dell’agenzia, non le è possibile esporsi in prima persona. Per questo chiede a Eve di darle una mano, da esterna. Lei prima nicchia, poi accetta. L’indagine la riporterà in contatto con i Dodici, la misteriosa società segreta spionistica/terroristica di cui Villanelle è il braccio armato. Ci mettono poco a ritrovarsi.

È nel mix di azione, umorismo e rilettura al femminile dei canoni e delle convenzioni di un genere, quello spionistico, generalmente a trazione maschile (e maschilista), che riposa il segreto di un’operazione seriale capace di muoversi con la giusta dose di malizia sul crinale tra il vecchio e il nuovo. Suzanne Heathcote ha coraggio da vendere e si prende una bella libertà, scegliendo di privilegiare l’esplorazione della problematica psicologia di Villanelle al costo di relegare in secondo piano gli shock e i contorcimenti dell’intreccio spionistico. Molto più dello scontro tra i Dodici e il secret service, la terza stagione mette Villanelle a confronto con i suoi fantasmi, costringendola a una necessaria, anche se ingenua e infantile, ricerca di un equilibrio emotivo soddisfacente. Un equilibrio che le consenta di andare avanti con il lavoro e insieme razionalizzare il legame con Eve. Per la prima volta nella sua vita, Villanelle si pone delle domande e, cosa ancor più rilevante, si dà delle risposte. Per la prima volta nella sua vita, Villanelle esita. L’impatto di questa incertezza si proietta sull’intelaiatura tematica, narrativa e psicologica della serie. In un modo non proprio auspicabile.

Killing Eve 3 – Marginalizzare il versante spy story in favore dell’approfondimento psicologico, ha un prezzo

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Oltre i limiti di plausibilità di una narrazione volutamente sopra le righe, Killing Eve 3, nel solco dei precedenti due capitoli, rimane una fotografia abbastanza accurata dell’esperienza femminile. E conta poco che questa storia di donne, scritta da donne e per le donne, nasca da una serie di romanzi del britannico Luke Jennings; Killing Eve porta con sé una buona dose di originalità all’interno del panorama della serialità contemporanea. Vale per ciò che accade in scena e, a maggior ragione, dietro le quinte. Non bisogna sottovalutare il progressivo avvicendamento di showrunner, una stagione dopo l’altra. Ogni sceneggiatrice porta con sé una filosofia, un senso dello spettacolo e una differente inclinazione circa il modo più corretto di piegare l’anima dello show alle proprie necessità.

Se tocca a Phoebe Waller-Bridge l’onore e l’onere definire le regole del gioco con una leggendaria prima stagione, mescolando senza soluzione di continuità empowerment al femminile, perverso romanticismo, spionaggio e commedia. Se è invece Emerald Fennell a incaricarsi di rilanciare la proposta, irrobustendo l’impianto action senza sacrificare troppo della bizzarra alchimia della prima stagione, Suzanne Heathcote si spinge oltre. Molto oltre, forse troppo. Da un lato, deviando il focus narrativo da Eve a Villanelle, immergendosi nei meandri di una psicologia contorta e ostica da imbrigliare, al rischio di una eccessiva banalizzazione.

Dall’altro, togliendo centralità all’elemento spy story, pensato come il contenitore attraverso cui i personaggi interpretati da Sandra Oh e Jodie Comer misuravano l’estensione e la portata dei propri sentimenti. I viaggi, l’esotismo, i travestimenti (un ottimo veicolo per l’ascesa della Comer) e gli omicidi come la tela su cui Eve e Villanelle schizzano i profili delle rispettive identità. E, anche, la chiave di cui servirsi per costruire un legame, problematico certo, ma fortissimo e molto interessante da guardare. Il richiamo a un genere di sicura presa consentiva poi di bilanciare la novità dell’offerta (ultra femminile) con il ricorso a codici narrativi tranquillizzanti per lo spettatore, perché ben conosciuti.

Qual è il problema di Killing Eve 3?

Il problema principale di Killing Eve 3 non è la spietata autoanalisi di una Villanelle che si interroga sulla sua vita al punto da spingersi in Russia, alla ricerca di un confronto con la madre amata e temuta. Non è neanche il fatto che, liquidato il rapporto con ciò che resta della sua famiglia, Villanelle zoppichi, grondando insicurezze, perché la sua rabbia era fino a quel momento la risposta a un bisogno inappagato di calore umano. E dunque, una volta risolta (in un modo o nell’altro) la questione familiare, anche l’omicidio perde di appeal. Il problema principale è che questa deviazione dal canone dello show, Killing Eve 3 non trova il modo di farla scorrere su un intreccio narrativo solido; la stasi e l’incertezza della protagonista collimano con la mollezza della storia, generando un’impressione di confusione e stagnazione. La ricerca di senso di Villanelle finisce per coincidere involontariamente con la ricerca di senso di una serie che, giunta a un passo dal traguardo (la quarta e conclusiva stagione), non riesce più a lavorare, nella maniera costruttiva di un tempo, sulla sua notevole originalità.