Il diario di un gigoló: la spiegazione della serie e del finale

ALLERTA SPOILER! Proviamo ad addentrarci nella trama della serie TV Netflix Il diario di un gigolò, spiegandone anche il finale.

Tra eros, psicoanalisi, fiamme e sangue, Il diario di un gigolò – su Netflix dal 7 settembre 2022 – mostra il disgelo di una femminilità inibita e la doppiezza di ogni sentimento, dall’amore materno a quello filiale. Il finale, a sorpresa, spalanca (o forse risolve) un dilemma. Ve lo spieghiamo.

Julia frequenta un’accademia d’arte ed è appassionata, in particolare, di discipline plastiche nelle quali si rende necessario manipolare la materia ricorrendo al fuoco, elemento da lei temuto e desiderato. Il suo aspetto è dimesso: non si trucca, non dedica attenzione alla scelta dei vestiti. I compagni di studi la prendono di mira per le sue stranezze. Hanno a malapena sentito la sua voce, perché Julia si rifiuta di ricorrere a parole vuote per riempire il silenzio. La sua storia la racconta per lei la schiena, ed è la tata l’unica che può toccarle le cicatrici che la percorrono come un voluminoso ricamo in rilievo: testimoniano un processo identitario interrotto nell’infanzia, a causa di un incidente stradale che l’ha lasciata ustionata, orfana di padre e bloccata al suo trauma.

Julia e Ana: l’amore tra madre e figlia attraversato dal fantasma edipico in Il diario di un gigolò

Sua madre Ana, vedova del proprietario di un’importante azienda farmaceutica al centro dei fuochi mediatici a causa di un controverso farmaco di sua produzione, è, invece, una donna alpha solo apparentemente di forte tempra, intimamente fragile e schiava di alcol e droghe: se la figlia ama manipolare materiali per ricavarne dei manufatti artistici, la madre ha plasmato, di plastica, il suo corpo e il suo volto finendo per aderire senza scarti a un modello di femminilità ipersessuata. Forse per concedersi il piacere negatole dal matrimonio insoddisfacente con Víctor, forse nel tentativo di raccogliere quotidiane conferme narcisistiche di desiderabilità, paga i servizi offerti da Minou, anziana tenutaria di una ‘galleria d’arte’ dietro – e dentro – la quale si nasconde un’agenzia che organizza incontri sessuali tra signore dell’alta società argentina ed ex scugnizzi senza santi in Paradiso, tra cui Emanuel.

Occhi blu, voce cavernosa, modi garbati: a lui Ana, che da tempo lo frequenta in qualità di gigoló, chiede di aiutare sua figlia Julia a ‘sbloccarsi’, nella speranza che, attraverso la conoscenza del suo corpo e del piacere che può darle, possa conoscere anche sé stessa e aprirsi al mondo. Il suo ‘sacrificio’ materno, però, le si ritorce contro e finisce per pagarlo ben più caro di un assegno in bianco: Emanuel, innamoratosi di Julia, la mette da parte come un giocattolo rotto; suo marito inizia una relazione con Flor, figlia di Minou e compagna di Emanuel, e, per avere la strada spianata, la fa internare in un istituto di igiene mentale; infine, la sua stessa Julia, venuta a scoprire l’inganno da lei ordito, la uccide.

In un primo momento, dell’omicidio vengono sospettati Emanuel, a casa del quale Ana si trovava al momento della morte; Dolores, la migliore amica di Ana, da lei licenziata dalla sua azienda farmaceutica; Víctor, nella cui auto viene rinvenuta l’arma dell’omicidio, ma che, grazie alle sue amicizie influenti, riesce a scagionarsi; Flor, indiziata per la compatibilità delle ferite rinvenute sul cadavere di Ana con una mano femminile. Infine, Minou, per salvare la figlia Flor dal carcere, confessa un delitto mai commesso. Julia, forte di un alibi di ferro – la sera dell’omicidio avrebbe dovuto trovarsi in ospedale, ricoverata per sottoporsi all’indomani a un intervento di chirurgia plastica al fine di rimuovere le vecchie cicatrici dell’incidente –, non solo non viene né sospettata né tantomeno condannata, ma assume la leadership del laboratorio farmaceutico di famiglia, riesce a far incarcerare Víctor per corruzione, falsificazione di documenti e delitti farmaceutici e commissiona l’omicidio di quest’ultimo per combustione, una vendetta efferata contro colui che ha scoperto essere l’assassino di suo padre.

La spiegazione della serie TV Il diario di un gigoló. Il ‘sacrificio’ materno ripagato con la morte: la figlia-vergine si fa donna e rimuove fisicamente la madre

Fabiola Campomanes è Ana, una donna d’affari argentina che paga Emanuel per le sue prestazioni sessuali.

Il diario di un gigoló è, dunque, una serie d’intrigo classicamente intesa ma, nel mostrare l’evoluzione di Julia, da vergine inesperta delle cose dell’amore a donna in pieno controllo della sua sessualità, e di conseguenza della sua vita, costruisce un thriller di formazione spiazzante e dalle implicazioni psicoanalitiche: seguire il suo rapido processo di disinibizione, fino all’ultimo dirompente amplesso – Julia è diventata donna; Julia è diventata come sua madre, e, anzi, più di lei: è diventata una donna sessualmente appagata – offre l’occasione per interrogarsi sulla mutabilità di ogni ruolo e sulla dialettica mobile delle posizioni all’interno di ogni rapporto, a partire da quello ‘primitivo’ tra madre e figlia.

La madre che non le faceva spazio, sessualmente aggressiva e vistosamente bella, laddove lei prediligeva rinchiudersi nel silenzio e nel buio di una camera oscura in cui sviluppare, da sola, fotografie, viene eliminata dalla scena nel modo più brutale proprio nel momento in cui le confessa che, dietro alla sua felicità, c’è proprio lei, sempre lei: “Pensavi che fosse così facile e veloce avere una storia d’amore? Come hai potuto ritenerlo possibile? Dietro alla tua felicità improvvisa, ci sono io!”. Nell’attribuire a sé stessa il merito del cambiamento e della nuova pienezza della figlia, la madre le conferma la paura della bambina che vive ancora dentro di lei, la paura che la genitrice segue, come nell’infanzia, a essere misura e origine di tutto, colei che nutre e può anche divorare, colei che dà la vita e può anche toglierla.

Dalla tragedia di Julia a quella di Emanuel: onorare il suo amore nuovo o quello per la madre?

Il diario di un gigoló spiegazione cinematographe.it
Victoria White è Julia: la madre Ana paga Emanuel perché la corteggi e la aiuti a uscire al suo guscio. Le conseguenze del suo ‘intervento’ le saranno fatali.

Per non perdere ciò che ha di più caro – l’amore di un uomo che l’ha fatta donna –, per non farsi fare di nuovo ombra da sua madre, ecco che Julia la uccide, quasi che l’unica via trovata alla risoluzione edipica sia quella del sangue. ll finale ci mostra Julia ed Emanuel insieme, in macchina. Il secondo dovrà confrontarsi con un dilemma etico: coprire la donna che ama e ricominciare con lei una nuova vita a lungo desiderata dopo anni di precarietà e assoggettamento – a unirli, la comune orfanezza; la condivisione di una ferita sotterrata e fondamentale – oppure salvare Minou dalla detenzione, ripristinare pubblicamente la sua innocenza? Minou è pur sempre la donna che lo ha salvato dall’orfanotrofio, gli ha dato un’occasione di riscatto, lo ha cresciuto come un figlio. Anche per Emanuel si ritorna all’Edipo: cosa scegliere, tra la passione per la donna amata e il rispetto dovuto alla madre?

Una seconda stagione potrebbe approfondire questo interrogativo apertosi proprio sul finale oppure lasciarlo cadere in una risposta implicita ma, nella sua omissione, eloquentemente definitiva. Una risposta che in effetti echeggia, a chiudere il decimo episodio, nelle parole di Julia, passata nel giro di qualche settimana – ma la compattezza nei drammi è sempre buona cosa, ce lo insegna Aristotele – da vittima a carnefice: per amare, dice, occorre rinunciare a qualcosa. Alla sicurezza del grembo materno, in primo luogo. Alla fine, l’amore, più che il suo contrario, mette la vita in pericolo. La tragedia di Julia diventa allora quella di Emanuel, che comprende, letteralmente attraverso la sua pelle, quanto dare piacere dietro compenso, privandosene per sé, fosse in fondo più facile – e sicuramente meno spaventoso – che provarlo in prima persona.

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