Rocco Schiavone: recensione della serie Rai con Marco Giallini

Rocco Schiavone la serie andata in onda su Rai Due con Marco Giallini, incentrata sulle vicende dell’omonimo personaggio inventato dallo scrittore Antonio Manzini, si è conclusa registrando un buon risultato di pubblico e scatenando anche qualche polemica.

Rocco Schiavone è una serie che ha fatto gridare alla novità, ha creato qualche polemica ma – purtroppo – non ha né aggiunto né tolto alcunché alla serialità italiana.

La serie Rocco Schiavone diretta da Michele Soavi ha puntato i propri riflettori sulla figura di un vicequestore, il poliziotto Schiavone e sui suoi modi fuori dal comune e per niente convenzionali. Il personaggio interpretato da Giallini viene trasferito da Roma ad Aosta quasi per punire la sua insolenza e pertanto è costretto ad abituarsi ad una nuova città, diversissima da quella di appartenenza. Il personaggio è un grillo parlante tra il ghiaccio della Valle D’Aosta, con voce calda e accento romano purtroppo non sempre chiaro ai telespettatori.

Il suo essere fuori dagli schemi è verosimile e pulsante. Soffre per la mancanza di Marina, interpretata anche se passata a miglior vita da Isabella Ragonese, e ha approcci burberi con le altre donne che gli capitano, tra cui Nora (Francesca Cavallin) e Caterina (Claudia Vismara). È un poliziotto che non crea e non subisce differenze tra buoni e cattivi, i delinquenti e i colleghi sono trattati da lui allo stesso modo. Difatti è anche lui stesso che passa da un estremo all’altro quando durante alcune indagini si accende una canna nel proprio ufficio.

Al debutto la serie ha richiamato l’attenzione di alcuni esponenti della politica italiana, i quali hanno recriminato alla Rai il fatto di aver trasmetto in prima serata un esponente della giustizia, ovvero un poliziotto, che fuma una canna. La questione è caduta nel dimenticatoio ben presto, come è prevedibile in questi casi, e Rocco Schiavone ha continuato ad andare in onda registrando anche buoni ascolti per la seconda rete della Rai.

Il punto è che la serie Rocco Schiavone andrebbe analizzata secondo visuali ben diverse: ritenendola un prodotto allineato agli altri o ritenendola in qualche modo un’innovazione per la serialità made in Italy. Ciò detto, è necessario chiarire che Rocco Schiavone con una forte base di scrittura – grazie ad Antonio Manzini stesso e a Maurizio Careddu ed Eleonora Fiorini che firmano la sceneggiatura – di innovativo non ha alcunché pur restando un buon prodotto.

Rocco Schiavone è un personaggio narrativamente complesso e tremendamente umano che nella serie viene penalizzato dal ritmo blando.

La serie pur avendo una regia ambiziosa e una fotografia degna di nota non riesce a regalare la stessa crudezza del Rocco Schiavone del romanzo o comunque del Rocco Schiavone che si preannunciava prima che la serie venisse trasmessa o al primissimo episodio che poteva benissimo essere un unico film da 100 minuti. Il personaggio esplicito e meno sornione di quanto si potesse immaginare è disagiato e affascinante principalmente per questo suo atteggiamento che non conosce etica e non ammette più morale.

I casi da risolvere, inoltre, non rapiscono e, a tratti, annoiano. Il formato con cui vengono proposti è sempre quello della narrazione episodica con un caso per ogni episodio, il morto e, a parte un’unica eccezione, la relativa soluzione.

Il personaggio di Rocco Schiavone con la sua storia travagliata e con le sue parole forti è vincente con la calzante interpretazione di Marco Giallini ma che non cattura per essere agli antipodi del Commissario Montalbano – televisivamente parlando – ma per essere una sua più istintiva e sensibile declinazione.