The housemaid: recensione del film di Kim Ki-Young

La recensione di Hanyeo (The Housemaid), il film del 1960 di Kim Ki-Young, in programma al Florence Korea Film Fest 2021.

In programma alla 19esima edizione del Florence Korea Film Fest come omaggio al grande regista sudcoreano Kim Ki-Young, il capolavoro anni Sessanta The housemaid mostra di essere invecchiato più che bene e ci lascia rapiti dallo schermo ancora oggi, aprendosi a più chiavi di lettura, una più intrigante dell’altra. Quasi immediato, oggi, l’accostamento con Parasite.

La trama di The housemaid

Kim Dong-sik (Jin Kyu Kim) fa da insegnante di canto per le lavoratrici di una fabbrica di tessuti: un giorno, però, una delle studentesse gli dichiara il suo amore in una lettera, ben presto denunciata dallo stesso uomo ai vertici aziendali. Dopo aver costretto la ragazza al licenziamento e all’estremo gesto del suicidio, per Kim Dong-sik inizia una catena di eventi che porteranno la sua intera famiglia allo sfacelo.

Infatti, Gyeong-hee, amica della ragazza respinta da Kim Dong-sik, cerca di vendicarsi con l’uomo in modo subdolo: lo avvicina facendosi dare lezioni di piano in privato e introduce in casa sua la figura di una domestica, la singolare Myeong-sook (Lee Eun-sim).

The housemaid, la domestica, Cinematogprahe.it

Ignaro che quell’amplesso sarà frutto della sua rovina, l’uomo si fa sedurre dalla domestica mentre la moglie, incinta del terzo figlio, è in visita dai propri genitori. Anche Myeong-sook resta incinta di Kim Dong-sik ma, dopo che l’uomo confessa l’adulterio alla moglie, viene costretta a procurarsi un aborto buttandosi dalla cima delle scale.

La perdita del bambino scatena nella ragazza una follia cieca che si riversa su ogni membro della famiglia, fino a compiere omicidi e a ridurre la moglie dell’uomo amato e agognato in una serva.

Non vi è finale perfetto per questo dramma macabro e perverso, se non quello di un doppio suicido, ma Kim Ki-Young ci sorprende: quel che è appena successo è frutto della fantasia di Kim Dong-sik, ispirato dalla lettura di un articolo di cronaca nera sul giornale.

Ma attenzione: ciò non significa che quel che ancora non è accaduto, non potrebbe comunque verificarsi…

The housemaid: perversione e ipocrisia di una famiglia borghese sudcoreana, sessant’anni prima di Parasite

Un anno fa ci ha entusiasmato vedere sul grande schermo l’analisi di Bong Joon-ho sul rapporto tra classi sociali nell’attuale Corea del Sud e praticamente tutti abbiamo amato Parasite e gioito della sua vittoria agli Academy Awards.

Eppure, uno dei più grandi registi sudcoreani (e forse anche il più noto) ben sessant’anni prima, precisamente nel 1960, aveva scavato a fondo nella psiche di una famiglia borghese della Corea del Sud con una pellicola a dir poco iconica e indimenticabile, The housemaid.

E poiché si sa che quando si scava in profondità emergono pian piano le reliquie e vengono dissotterrati gli scheletri, Kim Ki-Young non ebbe certo timore a far emergere dalla sua indagine il lato peggiore della classe borghese, quello più ipocrita e visceralmente ancorato al mantenimento di uno status sociale e di una vita perfetta e patinata, letteralmente a qualsiasi costo.

The housemaid, la famiglia, Cinematorgraphe.it

Ma è davvero di questo che ci parla The housemaid, della falsità delle classi sociali più abbienti e del desiderio morboso dei più poveri di impossessarsi di quello status lasciandosi accecare anch’essi dalla malvagità? No, o meglio, non solo.

The housemaid, infatti, è un film che potremmo definire sub-narrativamente complesso ed è per questo che si può dire che è divenuto una pellicola agé di tutto rispetto: è invecchiata bene, come si direbbe del buon vino.

Sebbene del film di Kim Ki-Young sia stata fatta una sorta di remake omonimo nel 2010, in realtà il paragone con Parasite è molto più che interessante: in entrambi i film, infatti, si assiste alla totale mancanza di personaggi positivi o virtuosi, tanto che persino bambini e adolescenti sono tutt’altro che innocenti.

La giovane domestica, infatti, subiva spesso le angherie del figlio minore di Kim Dong-sik, il quale non perdeva occasione di trattarla come una serva di basso rango. Ma nell’indole di Myeong-sook non vi è solo avidità e voglia di ribaltare i ruoli, ascendendo alla figura di moglie del padrone e condannando la reale consorte a farle da sguattera, bensì la ragazza è mossa da una passione e da una lussuria senza freno.

Come nel film del 2020, anche qui è in scena un microcosmo familiare minacciato da un intruso, ma in questo caso si tratta di un distorto home invasion psicologico.

Una femme fatale asiatica e l’intreccio delle trasgressioni umane nella tensione tra Eros e Thanatos

Nella figura della domestica, Kim Ki-Young dipinge l’immagine di una donna-mantide, una cacciatrice e divoratrice di uomini, una femme fatale asiatica che si rivela letale fino all’estremo, capace di perseguire il suo scopo e perseguitare “la sua preda” senza mai esitare.

Subdola, manipolatrice e crudele, la domestica nel corso della pellicola assume via via sembianze sempre più trasfigurate, con quei lunghi e folti capelli neri che la rendono simile a uno spettro, con i suoi insistenti sguardi inquisitori, mentre se ne sta lì in piedi, fuori dalla finestra dello studio di Kim Dong-sik.

The housemaid, la domestica, Cinematographe.it

Il veleno per topi, inoltre, è anch’esso metaforico: mentre la moglie del professore di musica è ossessionata dal liberarsi dei ratti in casa, non si rende conto che qualcun altro sta lentamente rosicchiando i pilastri che tengono in piedi la sua famiglia. Il veleno passa dalle mani di tutti i personaggi, causando diffidenza e minando definitivamente la fiducia tra i membri della famiglia, destinata a crollare come un castello di carte, sotto la spinta seduttrice della giovane domestica. Come nella casa della famiglia Park in Parasite, anche qui ci sono dei parassiti da eliminare: ma non sono i ratti…

La complessità dell’animo umano, con le sue pulsioni, è resa nota sin dalla scena iniziale in cui i due bambini giocano a intrecciare uno spago: tutto nella vicenda diventa intricato come in quel gioco, così l’Eros si intreccia con il Thanatos, la pulsione sessuale con il desiderio di morte.

The housemaid: Kim Ki-Young ci regala un finale degno di nota

The housemaid, veleno, Cinematographe.it

Ma sul finire del film, il lato sessista e maschilista della pellicola – certo, da contestualizzare con l’epoca – diventa ancora più forte: non solo nella rappresentazione negativa della donna che tenta, seduce e porta il buon uomo al peccato, ma anche nella raffigurazione della moglie avida del denaro del marito, succube del materialismo.

La moglie di Kim Dong-sik, infatti, più volte manifesta apertamente questo suo attaccamento alle cose materiali e ai soldi, alla ricchezza di cui non è mai sazia: una ricchezza che è anche apparenza, così fondamentale da non poterla distruggere nemmeno per denunciare l’omicidio del figlio a opera della domestica perché “il marito avrebbe perso il posto di lavoro”.

A conclusioni tratte, l’immagine femminile che viene fuori da The housemaid è tutt’altro che positiva e il tentativo finale di Kim Dong-sik di far la morale all’uomo di famiglia appare al pubblico di oggi molto meno ironico e più irritante di quanto non possa essere apparso in passato.

Tuttavia, il film riesce a intrattenere lo spettatore come in un incantesimo, stregandolo con il suo crescendo grottesco, che si spinge dal thriller all’horror, e con il suo bianco e nero dalle tinte alla Hitchcock.
Non da meno, un finale degno del cinema surrealista, con l’attore che rompe la Quarta Parete e ci priva del nostro senso di protezione dovuto allo schermo: improvvisamente, Kim Dong-sik si rivolge anche a noi, ammonendoci da un pulpito non poi così alto.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.6