La ragazza di ghiaccio: recensione del film di Veerle Baetens
Veerle Baetens, attrice, come non ricordarla in Alabama Monroe di Felix Van Groeningen, realizza il suo primo lungometraggio – traendo ispirazione dal libro di Lize Spit, Si scioglie, rivelazione della letteratura fiamminga contemporanea -, La ragazza di ghiaccio, presentato in anteprima nella sezione World Cinema Dramatic del Sundance Festival. Al centro c’è Eva (interpretata da piccola da Rosa Marchant che rivela tutto il suo talento e vince al Sundance il World Cinema Dramatic Special Jury Award per la miglior performance, poi da Charlotte De Bruyne), una giovane donna a cui è accaduto qualcosa di tremendo in una calda estate quand’era bambina. Cosa è successo a Eva? Perché è la ragazza di ghiaccio? Baetens con quest’opera prima entra nell’anima e nel corpo di una ragazzina che ha voglia di crescere ed essere amata e di una donna che vuole fare i conti con il proprio passato.
La ragazza di ghiaccio: da una giornata di sole al dolore più oscuro e profondo. Da ieri a oggi.

La comitiva di amici riempie la noia delle giornate estive con i bagni nello stagno, le gite in bicicletta e i passaggi segreti di cui erano a conoscenza solo loro, mentre i genitori lavorano, litigano e si mostrano disinteressati ai figli. Tutto in quei giorni è “intriso” di sole, scelto proprio per sottolineare quanto sia diversa la realtà, attraverso una chiara e semplice discrasia colorista (dietro a quel sole ci sono ipocrisie, drammi, alcolismo, violenze di ogni tipo). A poco a poco, il buio e le cupezze calano su case, cose e persone.
Eva, con un rapporto difficile con la madre, spesso ubriaca e con il padre distante e iroso, vive per il gruppo, eppure con loro, più grandi di lei, si sente sempre poco. Il suo corpo che lei vede brutto, non formato, in trasformazione, che sente invisibile tra tutte quelle ragazze bellissime, le è estraneo e lo osserva, cerca di capirlo e di renderlo più femminile. Lei, disprezzata da tutti, ha solo un desiderio, essere amata, soprattutto da Tim, leader del gruppo per cui ha una cotta. Per venire “abbracciata” da lui e anche da Jansen, farebbe di tutto, anche adescare ragazzine come prede per il gioco “obbligo o verità”. Se non rispondono all’indovinello molto difficile e macabro da lei inventato, le ragazze devono iniziare a spogliarsi, un indumento per volta, o farsi toccare, solo così potranno riconquistare la libertà. Ecco, qui inizia la tragicità della storia. Eva, vittima tanto quanto le altre, si fa manipolare per un briciolo di accettazione, sperando di essere guardata finalmente. Di fronte a quello scempio però, lei prova disagio e cerca di salvare le ragazze, di fare qualcosa per loro.
Una vita che è sopravvivere più che vivere

Eva adulta è una donna, silenziosa, con gli occhi indagatori, un po’ spaventati da tutto e da tutti. Lavora come assistente fotografa – anche da grande assiste e guarda – e vive, assieme alla sorella minore Tess (Femke Van der Steen) – quella stessa sorellina che da ragazzina allontanava, ora la tiene aggrappata a sé -, si trascina con la musica nelle orecchie tra le strade per arrivare a casa, ha gli occhi pieni di lacrime davanti al computer e attende (di fare, di dire) qualcosa. Tutto detona quando la sorella decide di trasferirsi e lasciarla sola, di nuovo. La ragazza di ghiaccio inizia proprio con Eva grande, matura, per far comprendere le motivazioni del suo viaggio, da oggi a ieri, dal presente al passato. Lei è la ragazza di ghiaccio, non solo e non tanto per il suo carattere, fa riferimento al cubo di ghiaccio che porta in macchina quando decide di tornare a casa, assieme alla sua tartaruga.
Sulla pagina social, Eva guarda i profili di due ragazzi, più o meno della sua età, Tim e Laurens, suoi amici di un tempo: scorrono eventi, foto, immagini di ciò che sono stati, i tre moschettieri e poi c’è Jan, una celebrazione per un amico che non c’è più.
Foto digitali che lasciano il posto a foto appese a un muro. Eva ora è piccola, sorride, fruga il suo corpo allo specchio e spera che qualcosa cambi o almeno di capirsi. Tutto cambia. I colori sono accesi, lei ride con gli amici e la sorellina. Tim e Laurens sono i compagni di giochi e di mille avventure, la perdita di Jan è ancora bruciante, loro, tre i moschettieri provano ad andare avanti, a sopravvivere.
Il mondo della piccola Eva rientra in quel perimetro, tra lo stagno e la sua casa, tra lo specchio e la nuova vicina, una bella ragazza, più grande di lei verso cui prova invidia e perfino odio, a tratti, tra le scorribande con gli amici e l’affetto della madre di Laurens, macellaia del paese, una sorta di madre alternativa che poi la tradirà nel momento del bisogno.
La ragazza di ghiaccio: uno sguardo doloroso ma sobrio per narrare una storia di violenza e dolore

Eva ricorda perfettamente quei giorni, i soprusi vissuti, e il film fa comprendere il suo stato d’animo, il rigoroso e dosato strazio, dando un dettaglio alla volta, mostrando le violenze subite, fino a quando in uno di quei giochi terribili, cade anche la stessa Eva. Baetens è perfetta nel mostrare ogni cosa con freddo dolore, con spietata sofferenza, è un occhio quasi chirurgico il suo che scrive una cronistoria di quanto essere vittima è una strada tanto facile da imboccare. Quei ragazzini che con lei giocavano in piscina, diventano mostruosi esseri che afferiscono a quel maschio tossico che picchia, stupra e uccide. Vittime e carnefici, tra piccole e grandi crudeltà, imbarazzi e paura di essere esclusi, aggressività e remissività, accompagnano il pubblico nella scoperta di un paesaggio oscuro, spostando l’asse sulla violenza di genere, che s’insinua fin in quei giochi dell’età infantile e preadolescenziale e negli approcci maschio-femmina. Eva è un prodotto di quella violenza vissuta da bambina, mai lenita o risignificata da qualcuno. Ciò che accade nel loro rifugio ha perseguitato e perseguita Eva per tutta la vita e non la lascia andare e tutto questo viene rappresentato da Baetens che fa emergere ciò che non vorremmo vedere e neppure sentire perché la cattiveria, la violenza, la brutalità fanno paura ma se viste addosso a dei ragazzini terrorizzano ancora di più. L’osservazione accurata, con un tono moderato – perché già ciò che si narra è disturbante –, di quanto facilmente l’acuto desiderio di integrarsi possa trasformarsi in una forza (auto)distruttiva rende quest’opera un racconto da guardare e capire.
La ragazza di ghiaccio: conclusioni e valutazioni

La ragazza di ghiaccio è un racconto crudo che è difficile da guardare perché il trauma infantile, la violenza nella giovane età lacerano e non sono facili da accettare. Baetens, con una scrittura densa e sobria, dirige un film che arriva dritto nello stomaco attraverso uno sguardo che non fa sconti.