IT: Welcome to Derry – recensione della serie TV Sky
Un racconto alle origini del male che ha terrorizzato la città di Derry. IT: Welcome to Derry è disponibile dal 27 ottobre 2025 su Sky e NOW.
Tornare a Derry significa, ancora una volta, fare i conti con i tempo: quello cronologico degli anni Sessanta e quello, più contorto, dell’infanzia. IT: Welcome to Derry si presenta come un prequel ambizioso che tenta di allargare l’orizzonte narrativo e tematico del romanzo di Stephen King e dei due film diretti da Andy Muschietti. Non un semplice episodio che spiega l’origine del mito di Pennywise, ma un tentativo dichiarato di regalare allo spettatore non solo terrore, ma una storia sociale che spinge il microcosmo di Derry verso la sua valenza allegorica.
La serie ideata da Jason Fuchs e Brad Caleb Kane è stata concepita e portata in scena dal team già legato ai film, con Andy e Barbara Muschietti e Bill Skarsgård figuranti tra i produttori esecutivi. Nel gennaio 2025, in un’intervista a Radio TU, Andy Muschietti ha rivelato dettagli sul materiale di partenza e sui piani a lungo termine per il nuovo prodotto: il regista ha dichiarato che la serie è basata su capitoli di intervallo del romanzo originale, aggiungendo che sono previste tre stagioni, ambientate rispettivamente nel 1962, 1935 e 1908. Muschietti menziona come la prima stagione non sia altro che una finestra che si apre sulla storia che si manifesterà nella seconda e terza stagione, concentrandosi sul motivo per cui Pennywise rimane ancorato alla città di Derry.
IT: Welcome to Derry, la cittadina come ferita collettiva

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La premessa di IT: Welcome to Derry è efficace nella sua semplicità. Gli Hanlon, una famiglia afroamericana, si trasferiscono a Derry e con la loro venuta, iniziano a manifestarsi eventi inquietanti: sparizioni e violenze che non sono solo sovrannaturali, ma hanno radici profondamente umane. IT: Welcome to Derry sceglie di collocarsi in un difficile contesto storico, nell’anno 1962, non solo come scelta di atmosfera vintage, ma come un forte atto politico e sociale: gli anni Sessanta sono un periodo di forte segregazione e violenza raziale, episodi che diventano parte integrante dell’orrore che vediamo sullo schermo. Non è un semplice espediente ornamentale: queste dinamiche e il trauma collettivo vissuto dalla cittadina sono presenti fin dall’episodio pilota, diventando linfa per il mostro e usate come carburante narrativo per spiegare perché Derry divenga un terreno favorevole al proliferare del male. Questo approccio che riprende un po’ gli stilemi “kinghiani”, nella sua volontà di intrecciare il sovrannaturale con il reale, da alla serie momenti di grande tensione civile, oltre che legata al genere horror. In altre parole, la serie tenta di mostrare come l’orrore sovrannaturale di Pennywise si nutra e si specchi nelle forme contemporanee di violenza e impunità.
IT: Welcome to Derry funziona quando abbandona il mero spavento per concentrarsi sulle cause del male: Derry e la sua capacità di dimenticare, di rimuovere per comodità sociale e permettere che traumi e ingiustizie si sedimentino. Pennywise divora paure, ma la paura, qui, è amplificata da una società che legittima certi soprusi. È un orrore doppio, quello che arriva dal mito e quello che nasce dall’umano.

La stoffa da grande produzione, con qualche piccolo difetto
Anche in questa serie, la mano di Andy Muschietti in alcuni episodi è evidente: la regia privilegia inquadrature che isolano i personaggi nello spazio di una cittadina che sembra viva e ostile al tempo stesso. La fotografia usa un forte contrasto cromatico per creare suture emotive: i toni caldi delle case, l’azzurro opaco delle notti e il rosso che irrompe quando la violenza e il sovrannaturale entrano in scena, con un gusto per la composizione che ricorda il cinema di genere contemporaneo ma non rinnega i grandi horror del passato. La colonna sonora, a cura di Benjamin Wallfisch, contribuisce alla costruzione di un tessuto sensoriale denso di rumori quotidiani che diventano minacce, silenzi che tolgono il fiato. Questa cura artigianale eleva la serie, mostrandoci il risultato di una produzione di qualità e dei momenti di puro orrore visivo e auditivo.

Il cast è senza dubbio uno dei maggiori punti di forza, con Taylour Paige e Jovan Adepo nei panni dei coniugi Hanlon che portano una concretezza emotiva rara, non solo come “vittime” della trama, ma come persone che reagiscono, amano e sbagliano. Bill Skarsgård torna nei panni di Pennywise e la sua presenza è calibrata, proprio come nei film: la figura del clown non è onnipresente, ma folgorante quando interviene, a sottolineare il suo ruolo come catalizzatore del male.
A questo coraggio tuttavia, si accompagnano debolezze non trascurabili. La serie, in alcuni punti, sembra addensare troppe sottotrame, con il rischio di frammentare il tono e distaccarsi eccessivamente dalla narrazione centrale. Alcuni momenti faticano infatti a mantenere la tensione e preferiscono l’espansione del mondo di King, mostrando quindi alcuni sbalzi di ritmo e un’architettura narrativa che talvolta si piega alla tentazione del fan service e della spiegazione eccessiva, perdendo la forza dell’enigma
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IT: Welcome to Derry, valutazione e conclusione

IT: Welcome to Derry è un progetto ambizioso ma onesto e che sa coinvolgere, perfetta per un cinefilo che ama il dialogo tra testo letterario e produzione audiovisiva e per chi apprezza l’horror che guarda al suo contesto storico e sociale. Meno indicata per chi cerca un’esperienza di puro terrore continuo e concentrato: la serie preferisce allargare, mettere in mostra e ragionare. Una visione obbligata per i fan curiosi della serie di film e del romanzo e per chi ama le serie che discutono e dividono il proprio pubblico.