Put your Soul on your Hand and Walk: recensione del docufilm, da RoFF 2025
Put your Soul on your Hand and Walk è un racconto di resilienza, un docufilm crudo e straziante sulla guerra a Gaza: la recensione dal RoFF 2025.
Fatima Hassouna era una fotoreporter palestinese che ha documentato la vita dei civili durante la guerra di Gaza: la sua testimonianza è al centro di Put your Soul on your Hand and Walk, il docufilm diretto da Sepideh Farsi e presentato alla Festa del Cinema di Roma 2025. Il titolo si riferisce a una frase pronunciata dalla giovane vittima, che aveva 26 anni quando è stata uccisa in un attacco aereo israeliano, e che è rimasta impressa nella mente della regista iraniana. Nel suo documentario, Sepideh Farsi si serve di due telefoni cellulari: uno per videochiamare Fatima, l’altro per registrare le loro conversazioni. Il risultato è un progetto crudo e realistico, che alterna immagini reali dei civili palestinesi, martoriati dal conflitto, e video di telegiornali che annunciano, di volta in volta, i progressi (o i passi indietro) dei governi mondiali nel cercare di trovare una soluzione alla guerra.
Put your Soul in your Hand and Walk è un racconto di resilienza e speranza

Sepideh Farsi è una di quelle personalità artistiche che non può tornare in Iran a causa della sua posizione contro il regime. La regista ha realizzato Put your Soul in your Hand and Walk da remoto e le riprese sono durate un anno circa. Lo scambio telefonico tra Sepideh e Fatima iniziò nell’aprile 2024, quando la giovane fotoreporter ha iniziato a raccontare alla regista la sua vita sulla Striscia di Gaza da quel fatidico 7 ottobre 2023. Fatima è una persona positiva, convinta che quando finirà la guerra in Palestina, finirò ovunque. La ragazza non perde mai il sorriso, neanche quando deve raccontare in quale modo orribile ha perso diversi suoi parenti, caduti sotto le bombe dell’esercito israeliano (tra loro c’erano anche dei bambini). Nel corso delle loro conversazioni, le due donne si confrontano sulle loro rispettive situazioni e scoprono che, in fondo, non sono così diverse. Entrambe lottano contro un regime che le rende prigioniere; la sola differenza è che Sepideh è riuscita a scappare dal suo Paese (la regista ha lasciato l’Iran nel 1984, non dopo aver passato otto mesi in prigione per aver coperto un’amica poco dopo la Rivoluzione).
Sepideh le parla di come il regime autoritario abbia tagliato la connessione Internet, rendendo impossibile comunicare con sua madre, rimasta in Iran. Per Fatima la situazione è resa ancora più complicata. La ragazza è costretta a spostarsi di casa in casa alla ricerca di linea, muovendosi anche all’interno di un rifugio dove spera non venga mai raggiunta dai missili. Put Your Soul in your Hand and Walk è un racconto di resilienza e di speranza: per tutto il docufilm, la regista riesce a catturare l’ottimismo nel volto della sua amica a distanza. Un sorriso che non si spegne neanche quando le esplosioni colpiscono vicino al suo quartiere. Il racconto di Fatima è universale ed è lo specchio di una triste realtà con cui da ormai due anni i palestinesi sono costretti a convincere.
Put Your Soul in your Hand and Walk: valutazione e conclusione

Crudo e straziante, Put your Soul in your Hand and Walk è il ritratto di una giovane donna palestinese che fino all’ultimo giorno della sua vita non si è mai persa d’animo. Fatima Hassouna era dotata di un inguaribile ottimismo ed altruismo, e forse è stato proprio questo ad aver colpito la regista. Il docufilm è girato con mezzi “grezzi”, eppure contribuiscono ancora di più a donare un senso di realismo alla vicenda – poiché si tratta di una storia vera, non c’è nulla di inventato, e più che mai attuale. Le fotografie di Fatima, che costellano il film, sono un memoriale per le generazioni future, affinché niente venga dimenticato.