L’isola di Andrea: recensione del film di Antonio Capuano

L’isola di Andrea di Antonio Capuano racconta la violenza domestica e il dramma di una famiglia divisa, con interpretazioni intense e una regia libera e coraggiosa. Al cinema dal 2 ottobre 2025.

Da dove arriva la violenza? Qual è il seme che la genera e che si annida nelle pieghe della vita? Qual è il terreno di scontro dove si consuma? Queste le domande che sottendono l’opera intensa di Antonio Capuano: L’isola di Andrea (2025); ancora una volta, testimonianza di un cinema libero e vitale. Il film è un percorso tremendo nelle spire della violenza domestica, mai mostrata chiaramente sullo schermo ma sottolineata nei gesti, nelle parole, nelle bugie e, soprattutto, nei primi piani dei suoi protagonisti: Marta (Teresa Saponangelo) e Guido (Vinicio Marchioni), due genitori che si stanno separando, con un figlio, Andrea (Andrea Migliucci), che si trova a metà tra due verità e versioni dei fatti opposte. L’isola di Andrea è un film schietto, crudo, reale: mostra così com’è sullo schermo una storia difficile da rappresentare, densa di sfumature psicologiche e comportamentali.

L’isola di Andrea: la famiglia distrutta di Antonio Capuano

Recensione L'isola di Andrea Cinematographe.it

Il film è stato presentato in selezione ufficiale fuori concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia. Arriva al cinema il 2 ottobre 2025 con Europictures, una produzione Mosaicon Film (Andrea Leone e Antonella Di Martino), Eskimo (Dario Formisano), Indigo Film (Nicola Giuliano) ed Europictures (Lucy De Crescenzo) con Rai Cinema, in collaborazione con Mad Entertainment.

L’isola di Andrea porta sullo schermo il dramma di una famiglia lacerata e distrutta, con elementi dark e grotteschi che rifiutano la narrativa classica cinematografica.
Antonio Capuano stravolge il modo di raccontare i drammi familiari: introduce trovate innovative, pop, gioca con il montaggio sfuocando la figura di Guido, fa parlare i personaggi direttamente in camera rompendo la quarta parete. Lo spettatore, dunque, diventa testimone d’eccellenza: ognuno dei due genitori vuole convincere gli “altri” e i giudici del Tribunale minorile di Napoli della propria versione dei fatti. Da una parte, una madre che cerca di proteggere con ogni mezzo possibile il figlio da eventuali turbamenti; dall’altra, un padre viscido e ambiguo, incapace di stare al mondo, che arringa con fare eloquente la sua storia col sorriso sulle labbra per nascondere in realtà un disagio profondo e mai affrontato. Negli occhi di Guido, anche quando sorride affabile e finto, c’è il germe di una violenza tenuta nascosta, che cova come un animale pronto a mordere la preda.

Capuano lo sa bene e scrive con una profondità psicologica curatissima: ogni battuta è un mondo che si apre nelle vite dei suoi personaggi. C’è Marta, che ha sempre sognato di fare l’attrice, di lasciare libera la sua parte creativa e fantasiosa, ma si sente imprigionata in un ruolo fin troppo stretto, come se la maternità fosse una prigione da cui è impossibile sottrarsi. Davanti ai giudici racconta di essersi giustificata in passato nell’aver cercato solo “lavori conciliabili” con il suo ruolo di madre, come se le due cose, nel nostro sistema, non fossero compatibili. Guido, invece, gioca a fare l’offeso, la vittima, la parte lesa: un marito che si dice tradito e umiliato. In tutto questo, c’è Andrea. E la sua isola: il suo spazio franco dove librarsi grazie al potere della fantasia, purtroppo imbrigliata e incapace di agire libera perché troppo disturbata da una tensione domestica costante.

La felicità è come un’isola che non c’è

Recensione L'isola di Andrea Cinematographe.it

Quando l’amore è malato, corrotto e violento, L’isola di Andrea racconta tutto questo, ma lo fa in maniera personale e originale rispetto ai film che narrano cosa accade dopo la fine di una storia.
Vengono alla mente film diventati cult: da Kramer contro Kramer (1979), caposaldo del genere, dramma familiare scritto e diretto da Robert Benton da un romanzo di Avery Corman, ai rimandi al cinema bergmaniano, con Scene da un matrimonio (1973), che tanta influenza ha avuto su molti autori successivi. In Marta vive un senso di libertà che ricorda molto la parabola di Jill Clayburgh in Una donna tutta sola (1978) di Paul Mazursky. I riferimenti ci sono, è vero, ma c’è tanto altro: la scrittura sensibile di Capuano, la sua regia accorta, i primi piani intensi, ma anche tanta musica che sembra essere attaccata a un filo di libertà troppo sottile per spiccare il volo.
La musica classica, da una parte, spinge Marta a ballare leggera, a piedi scalzi, sola nel suo salotto; ma c’è anche la musica classica napoletana che fa cantare Guido davanti allo specchio, simbolo delle sue radici partenopee ed espressione di cicatrici familiari mai rimarginate. Il regista riprende così un percorso coerente con il suo cinema, da Luna Rossa (2001) a Achille Tarallo (2018), sempre capace di raccontare i drammi e le contraddizioni della famiglia e della società napoletana, con uno sguardo che alterna realismo, visionarietà e grottesco.

E, infine, il desiderio di Andrea: quello di cantare Bennato davanti ai suoi compagni di classe. L’isola di Andrea è un’isola che non c’è, perché non ci sono le condizioni effettive per vivere un’infanzia felice e spensierata. Così come dovrebbe essere. Ma Andrea ci prova lo stesso, e canta, davanti a tutti, con la sua voce piena di speranza e gioia.

L’isola di Andrea: valutazione e conclusione

L’isola di Andrea è un film duro e struggente, che non teme di sporcarsi con la complessità dei sentimenti umani. Antonio Capuano dirige con coraggio e sensibilità, costruendo un racconto che si muove tra realismo e visionarietà, tra dolore e desiderio di libertà. La delicatezza della scrittura si sposa con la potenza delle interpretazioni: Teresa Saponangelo e Vinicio Marchioni restituiscono due ritratti vivi, contraddittori, feriti, mentre Andrea Migliucci offre allo spettatore lo sguardo puro di chi cerca un approdo sicuro. Ne emerge un film che non offre risposte facili, ma invita a guardare oltre le apparenze, lasciando addosso la sensazione di un cinema che sa ancora interrogare la vita e, soprattutto, le sue ferite più nascoste.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4.5

4.1