She Said Maybe: recensione del film Netflix

L'universo Netflix di Mavi a cavallo tra Germania e Turchia.

Regia - 0.3
Sceneggiatura - 0.3
Fotografia - 0.4
Recitazione - 0.3
Sonoro - 0.3
Emozione - 0.4

0.3

Com’è che inizieremmo a comportarci con le persone che ci sono sempre rimaste accanto se ognuno di noi fosse come Mavi, una donna cresciuta in Germania che- a un certo punto della sua vita – scopre di appartenere a una ricca famiglia turca? La trama di She Said Maybe, film già disponibile su Netflix, co-diretto da Buket Alakus e Ngo The Chau e con una sceneggiatura scritta da Ipek Zübert, apre a una riflessione sullo scenario della spaccatura tra il mondo del lusso e il profondo senso dell’identità. Mavi (Beritan Balci) si ritrova a contatto con una realtà che non le è mai appartenuta prima: palazzi sfarzosi, una tradizione multietnica a cavallo tra Oriente e Occidente che affonda le sue radici nell’impero Ottomano, una nonna che più che nonna ha interiorizzato una versione elegantissima e 2.0 di wonder woman.

Difficile credere che tutta quella ricchezza le appartenga di diritto: Mavi non è proprio quella che si definisce una Sultana, integrata da tutta la vita in un contesto sociale e culturale totalmente opposto. Le location principali, infatti, sono Amburgo, Istanbul, e Cappadocia, scenari che offrono sia la concretezza urbana occidentale che la miticità paesaggistica dell’Oriente turco. Nel cast, oltre a Beritan Balcı nel ruolo di Mavi, figurano Sinan Güleç come Can, Serkan Çayoğlu, Katja Riemann, Meral Perin e Merke, altri attori turchi e tedeschi che incarnano la dualità culturale del film.

She Said Maybe: di più di una semplice romantic comedy

Uno dei punti di forza del film è la sua promessa di portare sullo schermo un culture clash autentico: non solo il contrasto visivo e materiale (costume, lusso, palazzi, ambienti sontuosi), ma soprattutto il conflitto interiore di Mavi, alla quale tocca legare indissolubilmente le sue radici tedesche e un’eredità turca che le viene presentata come un destino. Questo richiamo al tema dell’identità, dell’appartenenza, del peso delle aspettative familiari e sociali, è il fulcro che promette di elevare She Said Maybe da semplice romantic comedy a film che può anche suscitare riflessioni significative.

Altro elemento di spicco è certamente il contrasto che si stabilisce fra libertà personale e obblighi familiari: Mavi, protetta da una vita ordinaria in Germania, viene chiamata a far parte di un mondo in cui tutto è sfarzo, ma dove gli obblighi sono pesanti, le tradizioni vincolanti, le relazioni familiari possibili solo soddisfando ruoli ben definiti. C’è una tensione fra il desiderio di rimanere fedele a sé stessi (alla propria vita, al fidanzato Can, alle abitudini personali) e la pressione implicita di rinnegare una parte delle proprie origini per aderire a una visione idealizzata di famiglia “nobile”. Dal punto di vista registico, la doppia direzione di Alakus e Ngo The Chau pare voler equilibrarsi su due stili: uno più moderno e visivo, che valorizza la dimensione materiale del lusso, e uno più intimista, che gioca sulle espressioni, i silenzi, la scoperta interiore.

She said maybe: valutazione e conclusione

Il rischio, dalla descrizione che emerge dalle anteprime, è che il film cada nei cliché della rom-com “ricca vs povera” o “tradizione vs modernità” già ampiamente esplorati, ma finora She Said Maybe sembra voler portare anche delicatezza nei dettagli: la nonna Yadigar non è solo la matriarca, ma una figura che incarna la memoria storica, le aspettative, la necessità di riconoscimento. Passando al piano musicale, la colonna sonora è di Ali N. Askin, compositore turco che può dare un tocco autentico alla fusione culturale del film. La fotografia (a cura di Jieun Yi) promette contrasti cromatici forti: la luce chiara dell’Occidente contrapposta ai tramonti e alle luci dorate di Istanbul e Cappadocia: una palette visiva che riflette il conflitto interiore di Mavi.

Nonostante le sue premesse seducenti, She Said Maybe porta con sé alcune sfide tipiche del genere che, se non gestite con attenzione, possono far perdere efficacia al messaggio. Una di queste, quella più evidente, è senza dubbio la prevedibilità del tema della “sconosciuta erede improvvisa”, già usato largamente – da Crazy Rich Asians in poi – e può dare l’impressione che il film stia seguendo una formula già vista. Quando si affrontano identità, radici culturali, obblighi tradizionali, e contrasto familiare, serve delicatezza: il rischio della rom-com superficiale è sempre molto alto. Insomma, possiamo dire che She Said Maybe sia un prodotto sicuramente ben riuscito, ma dimenticabile nelle sue continue ricadute nei cliché.

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