Hana Korea: recensione del film in concorso al BIFF 2025

Un’opera prima che racconta con delicatezza e rigore la storia di una giovane disertrice nordcoreana: Hana Korea costruisce una storia di identità, esilio e silenzi che tocca nel profondo pur restando lontano dalle scorciatoie emotive.

Presentato nella sezione Flash Forward Competition al 30° Busan International Film Festival (BIFF), Hana Korea è il film d’esordio del danese Frederik Sølberg, co‑scritto da Sharon Choi, nota per il suo lavoro come interprete e collaboratrice di Bong Joon-ho. 
Il film mette in scena con delicatezza e rigore la storia di una giovane disertrice nordcoreana, esplorando la sua discesa in un mondo che promette libertà senza essere in grado di accogliere veramente, o quantomeno, non sempre. Hana Korea non è un film di facili emozioni o di grandi esplosioni visive, ma uno che avanza con passo riflessivo, cercando di illuminare ciò che in Occidente spesso resta nell’ombra: l’esperienza degli immigrati nordcoreani in Corea del Sud.

Hana Korea: un racconto tra speranza e disillusione

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Hana Korea è interpretato da Minha Kim (nota per Pachinko), Kim Joo-ryoung (di Squid Game) e Ahn Seo‑hyun (“Mija” in Okja). 
La protagonista è Hyesun, giovane donna fuggita dalla Corea del Nord, che viene accolta in Hanawon, un’istituzione educativa governativa dove per tre mesi viene “ri-educata” alla vita al di fuori della DPRK: alla democrazia, ai diritti personali, all’uso quotidiano della libertà, fino a gesti ordinari come usare una carta di credito. 
Intorno a lei gravitano figure che provengono da percorsi simili ma reagiscono in modi diversi: alcuni con speranza, altri con scetticismo. Il film si concentra sui piccoli dettagli: le interazioni quotidiane, i silenzi, le attese, piuttosto che su grandi eventi.

Lo stile, l’impegno politico e i limiti di Hana Korea

Visivamente Hana Korea adotta una fotografia fredda, con toni azzurrini / bluastri, che suggeriscono già dalle prime scene un certo distacco ma anche la bellezza malinconica di paesaggi urbani alienanti. Le inquadrature privilegiano la luce naturale, gli interni spogli, le ombre sottili più che i contrasti forti: tutto ciò contribuisce a creare un senso di sospensione, come se la protagonista fosse sempre a metà strada tra due mondi.
I tempi narrativi sono lenti, ma non oppressivi: Sølberg evita l’eccessiva dilatazione, mantenendo un ritmo che lascia spazio alla riflessione senza cadere nella rigidità. Notevole è la quasi assenza di una colonna sonora invadente: la musica emerge solo in pochi momenti, lasciando che siano i rumori ambientali, i silenzi, i respiri a costruire tensione emotiva. Questo minimalismo funziona nel sostenere l’impatto politico del racconto, ma può altresì rendere l’esperienza meno accessibile per chi preferisce un cinema più “espressivo”.

Sul piano politico, il film fa un lavoro importante: mette in luce la condizione di chi fugge da un regime chiuso non solo come esperienza di dolore, ma come sfida identitaria, come scelta che implica abbandono, adattamento forzato ma anche desiderio di riconoscimento. Questo è materia poco esplorata nei media occidentali, che spesso semplificano o ignorano le storie individuali degli immigrati nordcoreani, concentrandosi solo su dati geopolitici. Hana Korea fa il contrario, non propone un manifesto, ma invita a guardare, ascoltare, comprendere.
Tra i limiti: in alcuni passaggi la rarefazione emotiva può trasformarsi in distanza, il pubblico meno abituato a un certo cinema misurato potrebbe sentire mancanza di “punch”, di momenti che rimangano a lungo nel ricordo. Altresì, alcune scene rischiano di “appannarsi” per via della sobrietà estrema.

Hana Korea: valutazione e conclusione

Nel complesso, Hana Korea è un esordio solido che dimostra cos’è possibile ottenere quando il cinema, pur con risorse limitate in termini di artifici, decide di puntare sull’autenticità e sull’introspezione. Il suo valore è nel far emergere storie che troppo spesso restano marginali, nel restituire dignità a chi vive ai margini di due identità, in bilico tra memoria, dovere e desiderio di integrazione.

Considerando che il BIFF 2025 è la sua 30ª edizione – che inaugura finalmente una sezione di competizione ufficiale per i film asiatici con i nuovi Busan AwardsHana Korea appare come un titolo che ben si adatta al nuovo corso del festival: non spettacolare, ma necessario. 
Un film non perfetto, ma importante, con momenti che toccano nel profondo e altri che invece restano più a latere. È un film da vedere, soprattutto per chi ha sensibilità verso la dimensione politica e le questioni dell’identità, dell’esilio e dell’“altro” che abita accanto ma che non sempre ascoltiamo.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.9