Franco Maresco: 5 film da vedere per conoscere il suo cinema

5 titoli che riassumono una coraggiosa carriera vissuta ai margini.

Parlare di Franco Maresco significa confrontarsi con una delle voci più radicali, disturbanti e originali del cinema italiano contemporaneo. Nato artisticamente insieme a Daniele Ciprì, con cui ha formato il celebre duo Ciprì e Maresco, ha saputo raccontare con uno sguardo spietato e al tempo stesso profondamente poetico la realtà di Palermo e della Sicilia, ma anche più in generale le contraddizioni dell’Italia intera. Il suo cinema è un affresco grottesco e crudele, abitato da personaggi ai margini, da volti che sembrano scolpiti dalla miseria e dalla disperazione, ma che riescono a parlare in maniera universale della condizione umana. Se Ciprì e Maresco hanno fatto la storia con Cinico Tv, serie televisiva cult che negli anni ’90 ha scardinato ogni convenzione rappresentando un’umanità deformata e borderline, la carriera solista di Maresco ha accentuato ancora di più la sua vocazione alla provocazione e alla riflessione politica. I suoi film non lasciano indifferenti: dividono, disturbano, fanno arrabbiare, ma proprio per questo sono essenziali. Non c’è compiacimento nello sguardo di Maresco, bensì una disperata necessità di dire la verità, di denunciare le ipocrisie della società italiana, di smontare i miti di un paese che fatica a guardarsi allo specchio. Il suo è un cinema che oscilla tra il documentario e la finzione, tra il teatro dell’assurdo e il giornalismo d’inchiesta, sempre pronto a spingersi oltre il limite del rappresentabile. È anche un cinema intriso di un senso tragico che richiama il teatro greco e insieme di un umorismo nerissimo che ricorda Totò e i fratelli Marx, ma spogliato di ogni leggerezza. Guardare i suoi film significa confrontarsi con lo specchio deformante di un’Italia che spesso preferisce non vedersi, ma che proprio in quel riflesso trova la sua immagine più autentica. Ecco cinque opere fondamentali per entrare nel suo mondo spietato e irripetibile.

1. Belluscone – Una storia siciliana (2014)

Franco Maresco - Cinematographe.it

Con questo film Maresco torna in scena dopo anni di silenzio, e lo fa con un’opera che mescola finzione e documentario in maniera inedita. Belluscone – Una storia siciliana racconta l’ascesa e la caduta di Ciccio Mira, un impresario musicale legato al mondo delle feste di piazza e alle canzonette neomelodiche, simbolo di un sottobosco culturale dove mafia e spettacolo si intrecciano in modo indissolubile. Il film è una riflessione sulla Sicilia, sull’Italia berlusconiana e sul rapporto perverso tra intrattenimento popolare e criminalità organizzata. Maresco sceglie di non apparire in prima persona, affidando la narrazione al critico Tatti Sanguineti, e costruisce un’opera ironica e amara che riesce a fotografare il declino morale di un’intera società. Vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia, il film ha riportato Maresco al centro del dibattito culturale italiano. Non si tratta solo di un racconto su un personaggio folkloristico, ma di un ritratto dell’Italia degli ultimi decenni, in cui la cultura televisiva e quella mafiosa sembrano confondersi fino a diventare la stessa cosa. Mira diventa così una maschera tragica e comica allo stesso tempo, un simbolo di come la società accetti il compromesso con il potere purché ci sia uno spettacolo da consumare. Attraverso di lui, Maresco parla del nostro rapporto con l’intrattenimento e con la memoria, denunciando un paese che ride mentre affonda.

2. Totò che visse due volte (1998), con Daniele Ciprì

Forse il film più celebre (e discusso) della coppia Ciprì e Maresco, Totò che visse due volte fu al centro di un clamoroso caso di censura. Accusato di blasfemia e oscenità, il film venne inizialmente vietato, per poi essere riabilitato grazie all’intervento della magistratura. Diviso in tre episodi ambientati in una Sicilia apocalittica, racconta una realtà dominata dalla miseria, dalla volgarità e dalla degradazione, in cui l’elemento religioso viene rappresentato in chiave surreale e dissacrante. È un film scomodo, urticante, che non fa sconti a nessuno e che si pone come una delle denunce più radicali mai viste sul grande schermo italiano. Con il suo bianco e nero violento e la sua rappresentazione di un’umanità ai limiti della sopravvivenza, Totò che visse due volte resta ancora oggi un’esperienza cinematografica estrema, in grado di dividere ma anche di lasciare un segno indelebile. La potenza di quest’opera sta nella sua capacità di unire simbolismo religioso, critica sociale e linguaggio grottesco in un insieme che non può lasciare indifferenti. Guardarlo significa affrontare un pugno nello stomaco estetico ed etico, un atto di accusa contro la Sicilia e contro l’Italia intera. E se la polemica all’epoca si concentrò sulla blasfemia, col tempo il film ha rivelato tutta la sua portata profetica: l’idea che la società stesse andando verso un degrado morale irreversibile, con la religione ridotta a spettacolo e l’uomo spogliato di ogni dignità.

3. Il ritorno di Cagliostro (2003), il film di Franco Maresco con Daniele Ciprì

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Opera surreale e provocatoria, Il ritorno di Cagliostro è una delle vette creative della collaborazione tra Ciprì e Maresco. Presentato a Venezia, il film racconta in modo grottesco e ironico l’avventura di due fratelli palermitani che, negli anni ’40, decidono di fondare una casa di produzione cinematografica in Sicilia con l’intento di realizzare film ispirati al mito di Cagliostro. La vicenda diventa ben presto una metafora sulla miseria culturale e produttiva del cinema italiano, incapace di uscire dalle proprie contraddizioni e costantemente soggetto a fallimenti e illusioni. Con un linguaggio che mescola documentario e finzione, satira e tragedia, Maresco costruisce un racconto amarissimo sulla difficoltà di fare cinema in Italia, soprattutto lontano dai grandi centri produttivi. Il film non è solo una parabola sulla storia del cinema, ma anche un ritratto feroce della Sicilia, con le sue ambizioni frustrate, la sua marginalità e la sua incapacità cronica di costruire un futuro diverso. La scelta di affrontare la storia con un tono sarcastico e beffardo rende Il ritorno di Cagliostro un’opera unica, capace di far ridere e al tempo stesso di far riflettere sulla condizione culturale di un paese che troppo spesso ha preferito la mediocrità alla visione. La Sicilia diventa qui un laboratorio universale del fallimento, e la parabola dei due fratelli risuona come un atto d’accusa nei confronti di un sistema che non sa e non vuole valorizzare la creatività.

4. La mafia non è più quella di una volta (2019)

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria, questo documentario segna una delle punte più alte della carriera di Maresco. Con il suo solito stile corrosivo, il regista mette a confronto l’attivismo antimafia incarnato da figure come Letizia Battaglia, fotografa simbolo della resistenza civile, e la desolante realtà delle feste di piazza organizzate da Ciccio Mira, dove i cantanti neomelodici celebrano ancora oggi boss e latitanti. È un film che fa male, perché mostra senza filtri l’assenza di memoria, l’indifferenza di gran parte della società e la trasformazione della mafia da fenomeno criminale a spettacolo di intrattenimento. Con una lucidità brutale, Maresco costruisce un ritratto impietoso dell’Italia contemporanea, capace di far riflettere e indignare. Ogni scena, ogni battuta sarcastica, mette in discussione il modo stesso in cui la memoria collettiva viene costruita e trasmessa. Da un lato, l’impegno civile e doloroso di chi non ha mai smesso di denunciare i crimini di Cosa Nostra; dall’altro, la leggerezza inconsapevole di un pubblico che preferisce dimenticare e cantare. È in questo contrasto che il film trova la sua forza devastante: nella constatazione che la mafia non ha più bisogno di agire come una volta perché è ormai diventata parte integrante della cultura popolare.

5. Enzo, domani a Palermo! (2010)

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Meno noto rispetto ad altri titoli, Enzo, domani a Palermo! è un’opera fondamentale per comprendere il lato più poetico e malinconico del cinema di Maresco. Il film racconta la vicenda di Enzo Castagna, impresario cinematografico siciliano che ha lavorato con i grandi divi del passato, da Franco Nero a Ornella Muti. Attraverso la sua figura, Maresco dipinge il ritratto di un mondo in via di estinzione: quello del cinema artigianale, sgangherato ma pieno di passione. È un racconto che oscilla tra nostalgia e disincanto, tra ricordi gloriosi e la desolata realtà del presente. Ancora una volta, il regista utilizza un personaggio marginale per parlare di questioni universali: il tempo che passa, la fine dei sogni, l’incapacità di un paese di valorizzare la propria memoria culturale. Castagna diventa un simbolo di un cinema perduto, di un’Italia che sapeva ancora credere nelle storie e negli eroi, ma che ha lasciato dietro di sé macerie e rimpianti. Maresco ne restituisce tutta la fragilità e la grandezza, dando voce a un personaggio che sembra appartenere a un’altra epoca ma che in realtà riflette le contraddizioni del presente. È un film che parla della solitudine dell’artista e della fatica di resistere in un mondo dominato dall’omologazione, e per questo rimane uno dei ritratti più umani e commoventi del regista palermitano.

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