Fin qui tutto bene? – recensione del film di Cosimo Bosco
Fin qui tutto bene? è il lungometraggio diretto da Cosimo Bosco, regista di Avanzers – Italian superheroes, rivisitazione in chiave italiana e parodistica di Avengers. Allontanandosi dal genere, con Fin qui tutto bene? Bosco realizza un dramma intenso e autentico, e che ha fatto incetta di premi tra cui Miglior thriller, Miglior attrice protagonista a Marta Moschini, Miglior attrice non protagonista a Roberta Garzia e Miglior attore non protagonista Maurizio Mattioli, tutti ricevuti al Bloddy Festival Roma 2024. Oltre a Marta Moschini, Roberta Garzia e Maurizio Mattioli, tra gli interpreti principali, nel ruolo di protagonista, è presente Francesco Isacca, affiancato da un cast che include Antonio Apadula, Simone Moretto, Gianni Parisi, Jessica Botti, Viktorie Ignoto, Rita Funes, Maurizio Siano, Vincenza Botti, Mirko Marcelli, Maria Cristina Fioretti e Fernando Antonio Calicchia. Il film arriva in sala l’11 settembre 2025 distribuito da Green Film.
Fin qui tutto bene? è una storia vera, una storia di molti, uno sguardo inedito e tragico sull’era del Covid

Fin qui tutto bene? è la storia di Matteo, la storia del regista Cosimo Bosco che mette in scena quella che è stata parte della sua esistenza da studente di Cinema. La vita del protagonista viene stravolta da un evento drammatico. Un evento che elargisce al film un altro punto di vista su quello che è stato il Covid-19. L’emergenza Coronavirus è qualcosa che rimarrà per sempre nel ricordo di tutti coloro che l’hanno vissuta, e che per quanto sembri un tempo lontano, se ne continua sempre a parlare, con contagi sporadici che ogni tanto sembrano tornare a rammentare che non è un virus del tutto scomparso. Nel film di Cosimo Bosco il Covid è l’inizio di un momento drammatico, di una malattia che si acuisce, diventa insostenibile e che il Covid rende semplicemente più evidente e pericolosa, facendola uscire fuori da una corazza, un corpo e un sorriso che la teneva nascosta.
Il contesto clinico non è chiaro, ma nel film è un modo di vedere come gli effetti del Covid siano andati oltre il contagio. E cosa ha quindi causato tutta quell’agitazione, quell’alienazione e quel panico di aver contratto il virus, di essere un pericolo per gli altri o che gli altri lo potessero essere per sé. La regia di Cosimo Bosco è semplice, ma al tempo stesso coraggiosa: rispetto al prodotto precedente, viene presa una strada completamente diversa: Fin qui tutto bene? è sicuramente un dramma sull’elaborazione del tutto, ma è a tratti inquietante, con scene sanguinarie che vengono sapientemente presentate spesso come incubi – o vere e proprie visioni – di una figura che, nel superare l’assenza di una persona cara e fondamentale nella sua vita, passa attraverso l’accettazione di un vuoto e un male che lo accompagneranno sempre. Quel qualcosa che nel film non si vede, si percepisce mostrando cosa abbia provocato nella mente di un ragazzo giovane che, nella routine della sua vita, nel suo che osserva frantumarsi pezzo dopo pezzo.
Un dramma di formazione a tinte horror

Qualche disattenzione di sceneggiatura, che però non toglie al film la tensione emotiva, la carica drammatica o lo sguardo contemporaneo. Elementi strutturali di un’opera che nel complesso riesce a coinvolgere. Tra le imperfezioni ci sono ad esempio l’atmosfera anni ‘90, quando è invece chiaro che ci si trovi nell’era del Covid-19 e quindi febbraio 2020; post universitari che utilizzano strumenti datati anni 2010 come la chat di Facebook; insieme a parole e concetti che difficilmente si sentirebbero utilizzare da giovani d’oggi, di vent’anni o poco più. C’è anche qualche emozione e sensazione che si tende a voler spiegare e rendere comprensibile, quando al contrario si tratta di un dolore silenzioso e taciuto, con picchi dirompenti d’angoscia, tormento e sofferenza, e che il regista giustamente proietta in tutte le sue forme. Dando quindi al turbinio interiore e distruttivo del protagonista voce, anima e corpo, rendendo didascaliche e anche inutili tutte le battute volte a dare un nome a qualcosa di così astratto e personale, come la perdita e la conseguente elaborazione elaborazione del lutto.
Fin qui tutto bene?: valutazione e conclusione

Le incursioni horror fanno di Fin qui tutto bene? anche un thriller psicologico. Allucinazioni, ricordi, sangue, rabbia, pestaggi e vendette tanto insensate quanto lo sono un dolore improvviso e violento, che nell’epoca dell’emergenza Coronavirus si aggiungeva a tutte quelle vittime che il Covid aveva causato. Quello che affligge il personaggio ottimamente interpretato da Roberta Garzia, che dà inizio all’intero racconto, è qualcos’altro, qui l’originalità della storia, quel differente punto di vista sul Coronavirus. È l’aumento della paranoia, del terrore, di quel sentirsi di fronte a una situazione ingestibile. Lo stress dell’attenzione, delle restrizioni che aumentavano il livello di ossessione e quindi anche gli accorgimenti per non infettarsi, tutti portati all’ennesima potenza. Come arginare qualcosa che neanche i massimi esperti riescono a combattere? Una situazione pregressa di un disagio mascherato che si era capaci, forse, di controllare. E che irrompe con forza, discordante e confusa, che stordisce e disorienta, facendo crollare un animo fragile, quell’animo che si perde di fronte a ciò che vede inevitabile. Di fronte alla vera paura di perdere coloro che ama.
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