Il mio amico pinguino: recensione del film con Jean Reno

David Schurmann racconta la storia vera che ha commosso il mondo.

Il mio amico pinguino, al cinema dall’11 settembre 2025, è un film delicato e sorprendente diretto da David Schurmann, con protagonista un intenso Jean Reno. Basato su una storia vera che ha commosso il mondo, il film è una riflessione tenera e luminosa sul lutto, sulla speranza e su come la natura, a volte, possa offrire le risposte che gli esseri umani non riescono più a trovare.

Il mio amico pinguino: una fiaba contemporanea tratta da una storia vera

Il mio amico pinguino - recensione - cinematographe.it

João (Jean Reno) è un anziano pescatore che vive una vita ritirata su un’isola al largo del Brasile. Il suo volto è segnato da rughe che parlano di tempo, fatica, silenzio… e dolore. Ha perso suo figlio Miguel in mare, e da allora il mare – che un tempo era casa – è diventato abisso. Ma un giorno, la corrente porta un pinguino sporco di petrolio e João, che non si prende cura neanche più di sé stesso, decide di accudirlo, curarlo e abbattere il muro costruito intorno alle sue emozioni. Così viene raccontata l’amicizia tra un uomo ferito e DinDim, il pinguino che gli ridona il sorriso.
Il film, ispirato alla vera storia del muratore brasiliano João Pereira de Souza, trasforma un fatto di cronaca in una fiaba contemporanea che non rinuncia mai alla realtà. Nessuna forzatura, nessuna lacrima facile: solo la potenza dei piccoli miracoli che la vita, a volte, regala.

Il mio amico pinguino: un racconto intimo e privo di patetismi

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Schurmann costruisce il film con una regia misurata, quasi pudica. Lascia parlare i paesaggi, i gesti, i silenzi. C’è una grande sensibilità nel modo in cui il regista filma la relazione tra João e DinDim: non come un’eccezione bizzarra, ma come qualcosa di profondamente naturale.
Non ci sono eccessi melodrammatici, e nemmeno facili scorciatoie narrative. La scelta di girare in gran parte con pinguini reali, e non con CGI, conferisce una verità fisica e affettiva che si percepisce in ogni scena. La macchina da presa resta spesso fissa, quasi timorosa di disturbare l’intimità che si crea tra i due protagonisti.
La sceneggiatura, scritta da Kristen Lazarian e Paulina Lagudi Ulrich, è essenziale ma non scarna. Le parole sono poche, pesate, e spesso affidate più allo sguardo che alla voce. Il rapporto tra João e il pinguino è fatto di gesti, sguardi, attese. Il simbolismo è delicato ma potente: quando João infila a DinDim il cappello di suo figlio per proteggerlo dal freddo, non è solo un gesto pratico – è un atto di rinascita.
Anche i dialoghi con la moglie Maria (una presenza silenziosa ma incisiva) arricchiscono la narrazione, mostrando come il dolore condiviso possa trovare nuove strade per essere vissuto.
La fotografia di Anthony Dod Mantle, premio Oscar per The Millionaire, è uno degli elementi più raffinati del film. La luce naturale domina ogni scena: i tramonti dorati sulle spiagge, le onde argentee al mattino, le ombre azzurre della sera. L’ambiente naturale non è semplice sfondo, ma presenza viva e muta, parte integrante del racconto emotivo. I colori raccontano la trasformazione interiore del protagonista: all’inizio dominano toni spenti, grigi e marroni; col tempo, e con il ritorno di DinDim, emergono il blu dell’oceano e il verde della vegetazione, quasi a riflettere il risveglio della sua anima.
La colonna sonora firmata da Fernando Velázquez accompagna con delicatezza, senza mai invadere. C’è malinconia, ma anche speranza, nella musica. E c’è un’intelligenza rara: la colonna sonora si ritira quando è il mondo naturale a dover parlare. Il canto dei pinguini, il frangersi delle onde, il silenzio delle notti sull’isola: sono questi i veri suoni del film.

Il mio amico pinguino: valutazione e conclusione

Il mio amico pinguino - recensione - cinematographe.it

Il mio amico pinguino non è un film che spinge alla commozione forzata. È una pellicola che ti accompagna, passo dopo passo, dentro un percorso di guarigione. La tristezza iniziale è densa, quasi palpabile. Ma non pesa: viene subito contrastata dalla meraviglia di un legame tanto improbabile quanto reale.
Il ritorno annuale di DinDim è un simbolo di fedeltà, di speranza, ma anche un insegnamento: l’affetto non conosce specie, distanza o linguaggio. È qualcosa che si riconosce, si costruisce, si rispetta. E il film riesce a trasmettere questa verità con una dolcezza disarmante.
Jean Reno regala un’interpretazione intensa, fatta di sfumature, di espressioni minute. Un uomo che ha perso tutto e che trova, in un piccolo pinguino, una nuova ragione per continuare a vivere.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

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