James Cameron, Pandora e la missione oltre il botteghino: “Avatar è il mio cavallo di Troia per salvare l’umanità”
James Cameron rivela perché continua a fare film sul mondo di Avatar (e non è per via dei soldi, fidatevi).
Dimenticate l’ossessione per gli incassi da record. James Cameron, autore visionario e demiurgo del mondo di Avatar, non continua a raccontare storie di Na’vi per rincorrere il successo commerciale. O meglio: non solo. A detta sua, ciò che lo spinge a dedicare quasi vent’anni della propria carriera a Pandora è qualcosa di molto più profondo e, a tratti, spirituale: il desiderio di usare il cinema come strumento per riaccendere un legame perduto tra l’essere umano e la natura.
In una lunga intervista a Rolling Stone, il regista ha svelato la filosofia che guida il suo impegno decennale nella saga: “Non giustifico il mio lavoro sulla base dei soldi guadagnati. Lo faccio nella speranza che possa avere un impatto, che ci aiuti a riconnetterci con il nostro lato umano più autentico, quello che rispetta e ama la natura”. Cameron, che non è mai stato uno da mezze misure, definisce Avatar una sorta di strategia da cavallo di Troia: intrattenimento spettacolare, sì, ma che cerca anche di insinuare domande nel cuore e nella coscienza dello spettatore.

Eppure, i numeri sono lì, implacabili. Il primo Avatar è ancora il film con il maggior incasso globale di sempre, con i suoi 2,92 miliardi di dollari. Il sequel, The Way of Water (2022), non è da meno: con 2,32 miliardi, è salito sul podio come terzo film più redditizio della storia. Questi risultati non solo confermano il fascino di Pandora, ma hanno dato a Cameron la libertà creativa necessaria per sviluppare ulteriori capitoli, spingendosi oltre i confini narrativi e visivi del franchise.
Il prossimo film, Avatar: Fuoco e Cenere, atteso per il 2025, promette di portare la saga in territori più ambigui. Al centro della narrazione troveremo il Clan Mangkwan, una tribù vulcanica soprannominata “Popolo della Cenere”, guidata dal nuovo personaggio Varang (interpretato da Oona Chaplin). Questi Na’vi, forgiati da un ambiente ostile, rappresenteranno una moralità meno cristallina rispetto alla dicotomia manichea dei primi due film. Cameron intende infatti spostare la narrazione verso un conflitto interno al popolo di Pandora, dove non tutto è bianco o nero.

Altro cambiamento significativo: il punto di vista narrativo passerà da Jake Sully (Sam Worthington) a suo figlio Lo’ak (Britain Dalton), in un’evidente apertura verso le nuove generazioni, che avranno un ruolo centrale nei capitoli futuri. La famiglia Sully resta tuttavia saldamente al centro della storia, con il ritorno di personaggi chiave come Neytiri, Kiri, Ronal e Spider.
Cameron, instancabile nel suo worldbuilding, ha inoltre annunciato di star lavorando a una serie animata antologica, sul modello di The Animatrix, per esplorare storie parallele e poco battute dell’universo di Avatar. Dalle prime missioni umane su Pandora a eventi rimasti fuori dallo schema principale, il regista vuole espandere l’orizzonte della saga ben oltre la semplice trilogia o quadrilogia. Insomma, quello di Cameron non è solo un franchise: è un progetto culturale, quasi ecologico, con un piede nel mito e l’altro nel futuro. E finché ci sarà un angolo di Pandora da raccontare, lui sarà lì, macchina da presa alla mano e cuore nel verde.