E poi si vede: recensione del film con i Sansoni
E poi si vede è una commedia generazionale ricca di spunti e creatività, fedele al suo spirito e ai suoi protagonisti.
Con E poi si vede, i Sansoni segnano un debutto cinematografico sorprendente per equilibrio e autenticità. Il duo siciliano, conosciuto per le performance web e televisive, trasla la propria comicità in una narrazione più ampia, costruita non su gag estemporanee ma su una scrittura attenta e consapevole. Il film non è un’autocelebrazione, ma un tentativo onesto di raccontare la condizione giovanile nel Sud Italia, con uno sguardo che mescola disillusione, tenerezza e una buona dose di ironia.
E poi si vede: il film con i Sansoni svela dalla satira gentile e dal sarcasmo misurato

Al centro della storia ci sono tre ragazzi: l’avvocato precario, il figlio del consigliere comunale e il raccomandato per eccellenza. Tre destini apparentemente incompatibili, uniti dal desiderio di conquistare un posto fisso in Comune. Ma il concorso è solo la punta dell’iceberg: dietro si agitano tensioni familiari, rabbia sociale, speranze frustrate. La vittoria di chi meno se l’aspetta innesca una reazione a catena che porta i personaggi a rivedere le proprie convinzioni e, in un gioco di ribaltamenti, a diventare complici prima ancora che amici.
La forza del film sta nel suo tono: mai urlato, mai arrendevole. La commedia qui non serve a distrarre, ma a evidenziare le crepe di un sistema che ha smesso di offrire opportunità reali. Non ci sono grandi invettive, solo piccoli dettagli che raccontano il malessere di una generazione costretta a inventarsi un futuro con strumenti sempre più spuntati. L’uso del comico è strategico e intelligente: la risata arriva spesso amara, filtrata da un sarcasmo calibrato che non cerca il consenso facile.
Paesaggio come sfondo, non padrone
La Sicilia di E poi si vede non è cartolina, ma corpo narrativo. Gli spazi urbani, i piccoli uffici pubblici, le case familiari, i vicoli e le spiagge fanno da cornice senza mai diventare protagonisti. È una Sicilia moderna e vissuta, con tutte le sue contraddizioni: solare ma claustrofobica, aspra ma generosa. La regia di Giovanni Calvaruso non indulge nel pittoresco, ma cerca l’autenticità. E la fotografia, essenziale e calda, accompagna con discrezione la parabola dei personaggi.
Un legame che genera forza
Il vero motore del film è l’inaspettata alleanza tra Federico e Fabrizio, due ragazzi all’opposto per vissuto, ma uniti dalla stessa fame di dignità. È nel loro rapporto che la pellicola trova la sua profondità più onesta: non c’è retorica, solo solidarietà concreta. In un contesto dove tutto divide – classe sociale, aspettative, cultura – il film propone l’amicizia come unico strumento di riscatto. Una scelta narrativa tanto semplice quanto potente, che restituisce umanità a una realtà spesso raccontata solo attraverso i numeri.
E poi si vede: valutazione e conclusione

E poi si vede è una commedia popolare nel senso più nobile del termine: parla a tutti, ma non banalizza. Si rivolge a una generazione che è stanca di aspettare e che vuole, con ogni mezzo, prendersi ciò che le è stato negato. Il film non è perfetto – alcune soluzioni narrative indulgono nel facile macchiettismo – ma riesce nell’impresa di costruire una storia coerente, con personaggi veri e un messaggio limpido. Non si ride per evadere, ma per capire. E, soprattutto, per reagire. Perché la speranza, oggi, non può più essere lasciata al caso. Va costruita. Insieme. La forza di E poi si vede sta proprio in questo: non racconta solo un problema, ma suggerisce una strada possibile, fatta di alleanze genuine e di coraggio quotidiano. In un’Italia dove il futuro sembra spesso negato, il film regala un messaggio di speranza che supera la semplice denuncia, invitando a non arrendersi mai.