Il cono d’ombra – La storia di Denis Bergamini: recensione della serie TV Sky

Dal Podcast di Pablo Trincia alla docuserie, il caso Bergamini torna a interrogare lo spettatore

Il podcast che diventa serie, la narrazione che diventa prova visibilmente tangibile, il sentito che viene visto, l’archivio che vede la luce, la rottura di un trentennale silenzio. Il cono d’ombra – La storia di Denis Bergamini è tutto questo: un progetto crossmediale che parte dal racconto in voce – pubblicato da Sky TG24 nella primavera del 2025 – e trova la sua espansione visiva nella docuserie Sky Original diretta da Pablo Trincia, Debora Campanella e Paolo Negro. Prodotta da TapelessFilm con il sostegno della Calabria Film Commission, la serie si articola in quattro episodi e ricostruisce un caso giudiziario diventato simbolo: quello della morte del calciatore del Cosenza, archiviata per trent’anni come suicidio e riaperta grazie alla determinazione della famiglia, a una nuova indagine e, ora, a un racconto che non è più solo intimo ma anche collettivo. Trincia, già autore di Veleno e E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano, continua il suo percorso nel giornalismo narrativo con una forma che unisce rigore e empatia. Il lavoro sul suono (firmato da Michele Boreggi), il montaggio denso, l’uso estensivo e narrativo dell’archivio rendono la serie non solo informativa ma anche profondamente evocativa.

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La narrazione uditiva che diviene visione

Il cono d'ombra Pablo Trincia cinematographe.it

Il 18 novembre 1989 Denis Bergamini, calciatore del Cosenza, viene ritrovato senza vita ai margini della Statale 106, nei pressi di Roseto Capo Spulico. Secondo la versione ufficiale diffusa all’epoca, si sarebbe trattato di un suicidio: un gesto estremo, compiuto lanciandosi sotto un camion in corsa. Ma qualcosa, da subito, non torna. Le circostanze appaiono contraddittorie, le testimonianze lacunose, le indagini frettolose. Per oltre trent’anni, la verità resta soffocata sotto una coltre fitta di omissioni, reticenze, depistaggi, e silenzi istituzionali. Il cono d’ombra riporta alla luce questa ferita mai rimarginata e sceglie di raccontarla due volte: prima con la voce, nei sette episodi del podcast scritto da Pablo Trincia e Debora Campanella, poi attraverso le immagini della docuserie Sky, che non si limita a tradurre il materiale audio in forma visiva, ma lo espande, lo approfondisce, lo radica in una nuova esperienza percettiva.

Il passaggio dalla narrazione uditiva a quella visiva non è solo un cambio di mezzo, ma una trasformazione profonda del linguaggio. Ciò che si ascoltava come ipotesi ora appare come documento, ciò che si intuiva si manifesta, ciò che sembrava rimosso torna a galla. La serie si fonda su un uso massiccio e sapiente di materiale d’archivio – audio originali, filmati privati, atti processuali, articoli di giornale – che non viene solo mostrato, ma narrato e intrecciato in modo organico alla testimonianza. Ne emerge un racconto stratificato, che affianca alla cronaca giudiziaria una riflessione più ampia sul valore della memoria e sulla fatica di chi cerca giustizia senza avere certezze. Attraverso le voci di chi ha vissuto il lutto in prima persona – la sorella Donata, l’avvocato Fabio Anselmo, il PM Facciolla – il mosaico prende forma: frammento dopo frammento, si costruisce una nuova possibilità di comprensione, più umana e più vicina a chi ha atteso troppo a lungo che la verità venisse ascoltata.

Il cono d’ombra – La storia di Denis Bergamini: valutazione e conclusione

Il cono d'ombra Denis Bergamini Pablo Trincia cinematographe.it

Sul piano formale, Il cono d’ombra adotta una struttura piuttosto classica: l’intervista frontale alternata al repertorio d’archivio, soluzione ormai codificata nel linguaggio delle docuserie true crime. L’impostazione è funzionale ma poco sorprendente, e in alcuni momenti tende a rallentare il ritmo, restituendo una narrazione che si affida più all’intensità del contenuto che a una ricerca formale o visiva. Tuttavia, proprio questa linearità stilistica permette un contatto diretto, quasi emotivo, con i protagonisti della vicenda: emerge con forza, in particolare, il vissuto di chi ha sofferto più direttamente le conseguenze di questa lunga omissione collettiva. Il racconto della sorella Donata, centrale e costante, introduce una dimensione di empatia che va oltre la cronaca e si fa esperienza condivisa.

L’efficacia della serie non sta tanto nella tensione narrativa quanto nella sua capacità di restituire una storia umana, viva, ancora non chiusa. Nonostante una messa in scena convenzionale, Il cono d’ombra riesce a riportare alla luce ciò che è stato a lungo rimosso, e a farlo con una cura che si percepisce soprattutto nell’attenzione ai dettagli, ai silenzi, alle parole trattenute per troppo tempo. In questo senso, si inserisce pienamente nella grammatica del true crime, un genere che – come ha sottolineato lo stesso Trincia – affascina l’essere umano da sempre: perché mette in scena il mistero, l’ambiguità, il conflitto tra ciò che appare e ciò che è, ma anche perché permette di osservare l’anomalia come lente sulla normalità. In casi come questo, però, l’anomalia non è un evento isolato, ma il frutto di una rimozione collettiva. E allora il true crime smette di essere intrattenimento e si fa strumento per restituire senso, voce e memoria.

Regia – 3
Sceneggiatura – 3
Fotografia – 3.5
Sonoro – 3
Emozione – 3.5
Tags: Sky