Elisa Fuksas parla del suo Marko Polo: un inno di libertà e introspezione

Intervista alla scrittrice e regista Elisa Fuksas, in occasione dell'uscita in sala del suo nuovo film Marko Polo, al cinema come evento speciale il 26, 27 e 28 maggio, con Fandango.

Marko Polo è un film libero negli schemi e nella forma, nato dal desiderio di interrogarsi sul mondo e sul senso della vita. Elisa Fuksas, scrittrice e regista, dirige un lungometraggio che mette in discussione sé stessa e la sua fede, attraverso un viaggio in traghetto diretto a Medugorje, una sorta di teatro galleggiante in cui si muovono cinque personaggi, ma di senso e, soprattutto, di una fede che sembra crollare. Il film nasce come risposta ad un altro progetto cinematografico mai iniziato, con Marko Polo Elisa Fuksas trasforma il fallimento in un successo, due facce della stessa medaglia che fanno parte del percorso di vita di ogni essere umano. Il film, è stato scritto da Elisa Fuksas ed Elisa Casseri, che ne firmano anche il soggetto, con una produzione Fandango e Indiana Production. Marko Polo è stato inoltre presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Nel cast sono presenti Iaia Forte, Flavio Furno, Letizia Cesarini alias Maria Antonietta, Lavinia Fuksas, Elisa Casseri. In occasione dell’uscita in sala come evento speciale il 26, 27, 28 maggio 2025, abbiamo intervistato l’autrice, che ci racconta molto di sé e della genesi di Marko Polo.

Intervista a Elisa Fuksas tra fede, vita e Marko Polo: “Il film è un miracolo, prima di tutto. Non doveva esistere”

elisa fuksas intervista cinematographe.it

Il film inizialmente doveva intitolarsi Ama e fai quello che vuoi, tratto dal tuo libro del 2020, già in questo titolo c’è tanta di quella libertà che Marko Polo vuole raccontare?
È lei che ha trovato me. Ama e fai quello che vuoi è una frase che appartiene a Sant’Agostino, e lui sapeva un sacco di cose. Il film è un miracolo, prima di tutto. Non doveva esistere, il film Ama e fai quello che vuoi era fallito, e di conseguenza doveva fallire tutto. E, invece, le cose che vuoi raccontare in un modo o nell’altro trovano il modo di farsi trovare. In primis, la fede. Non solo in Dio, ma in tutto. Evidentemente questa storia non ha accettato il destino di rimanere in silenzio. E così abbiamo avuto l’idea con la sceneggiatrice, Elisa Casseri, e anche attrice per questa volta, di un pellegrinaggio. Anche se poi ha preso una direzione diversa, perché all’inizio l’idea si ispirava ai Comizi d’amore di Pasolini in tema religioso, e poi alla fine è diventato un film vero e proprio. E quindi la libertà, sì, forse è la parola giusta per definire Marko Polo. Sono felice che tu l’abbia rintracciata questa sensazione. Anche perché il film è stato girato in 10 giorni, con pochi soldi, budget, mezzi, al di là della casa di produzione Indiana che è una grande casa di produzione, ma è stata un’anomalia.

Ci hanno creduto molto?
“Sì, è stato un vero e proprio patto di fede tra me e loro. Hanno creduto molto in questo progetto. Così come è stato un patto di fede con i miei attori, la troupe. Tra tutti e la fede, in fin dei conti. Questo perché credevamo avesse senso raccontare che significa successo e fallimento oggi, in un mondo che ti costringe ad avere sempre successo.”

Successo e fallimento possono essere la stessa cosa?
“Credo di sì. Nella vita esiste il presente, ma soprattutto il dispiegamento delle cose nel tempo. E quando le cose si dispiegano, una cosa che oggi può sembrarti una fortuna, magari dopo dieci anni capisci che è stata l’inizio di una deviazione che ci ha portati lontani da quella che era la direzione iniziale. I fatti non sono mai solo comprensibili nel presente, ma la loro propagazione è lunga nel tempo. Dunque, il fallimento di un film può essere oggi un problema, ma potrebbe diventare anche la tua salvezza per svariati motivi. Detto questo, il film era una scusa per parlare di altro, anche perché è quello che amo fare, scrivere e raccontare storie. Tutti abbiamo esperienza di fallimenti, relazioni, matrimoni, lavori, di vite anche, e quindi è facile empatizzare con una storia come questa.”

Intervista Elisa Fuksas Marko Polo Cinematographe.it

In Marko Polo c’è tanto di quel senso di introspezione, di sensazione di smarrimento, ma anche di voglia di non rimanere fermi. I riferimenti cinematografici richiamano alla mente il Guido Anselmi di 8 e mezzo, sei d’accordo?
“Assolutamente. Il personaggio di Guido Anselmi di Fellini è un archetipo. Fanno parte del nostro inconscio, 8 e mezzo è ormai un film che appartiene al nostro immaginario, anche di chi fa tutt’altro nella vita. È giusto rivederci quello smarrimento, quella confusione e anche quella libertà e spregiudicatezza se vuoi. Tra l’altro in un’epoca in cui nessuno più si prende il rischio di raccontare questa indecisione dell’animo umano. Ci limitiamo a dei compiti elementari, perché terrorizzati dall’idea di fallire. E definisce anche il mercato di oggi. Però ogni tanto bisogna fare delle cose che interroghino il senso dell’uomo.

Riesci ad intercettare oggi questo sentimento nelle persone? Questa voglia di interrogarsi sulla senso della vita e anche sul credere?
“Non credo vada molto di moda. Credere, porsi delle domande, sono tutte attività diventate secondarie rispetto alla voglia di affermarsi, e non di decostruirci. Però proprio per questo motivo, ha ancora più senso raccontare una storia del genere.”

Elisa Fuksas con questo film racconta la fatica di stare al mondo con uno sguardo indagatore e attento verso il mondo che ci circonda

Intervista Elisa Fuksas Marko Polo Cinematographe.it

In questo film ci sono molti personaggi interessanti, la sceneggiatrice che non parla, la figura di tua sorella, e poi c’è forse quello più ricco di sfaccettature, quello di Flavio Furno, l’attore  protagonista del film fallito con questa maschera che richiama chiaramente il teatro greco. Com’è nato questo personaggio?
“È nato in pochissimo tempo. Il film è stato scritto e girato in tanti anni, il prodotto di tanti copioni diversi, scritti e riscritti più volte. Dopodiché, quando il film fallisce mi viene in mente di andare a Medjugorje. Così iniziamo a scrivere un copione nel tempo di una settimana, con un lavoro però alle spalle di cinque anni, più un libro in precedenza. Il ruolo di Flavio inizialmente doveva essere più semplice, doveva fare solo il prete. E il suo ruolo doveva interpretarlo un mio amico artista, che alla lettura della prima scena si era offeso, trovandolo ridicolo (ride, ndr.). Così abbiamo pensato di far fare a Flavio tutto, e poi si è rivelata una scelta perfetta. Anche perché lui è un attore che nessuno vede, lo rende invisibile e nello stesso tempo potente perché quando recita con la maschera è molto bravo e convincente.”

Anche nel Niccolò di The App c’era questa incapacità di comunicare con le persone, forse anche perché troppo presi da sé stessi. Invece in Marko Polo l’aspetto più interessante del film sta nel fatto che i personaggi provano a parlarsi, a conoscersi, e, soprattutto ad ascoltarsi. Magari non riuscendo totalmente nei risultati, ma le intenzioni ci sono. È vero?
“Sì, secondo me questo film è più parente di iSola e A.L.B.E. – A life beyond earth, però certo è così. Prima di tutto farsi capire nella vita è molto complicato, e, soprattutto, capire gli altri. Esiste il linguaggio e dobbiamo imparare ad usarlo. Questo aspetto qui, unito con i sentimenti che abbiamo fa trapelare molte emozioni diverse.”

Capita anche a te nella vita di indossare una maschera e di dimenticare il confine tra il nostro essere e il modo in cui ci rappresentiamo?
“Sì, ti spiego perché. Quello che io intendo come vita, è il tempo che trascorro a casa a scrivere. Tutto quello che mi porta fuori mi costringe a un cambiamento. E non ti nascondo che faccio fatica a stare fuori. Ma non è un sentimento di esclusività, è perché la vita ti mette in difficoltà. Anche quando sei molto fortunato e fai quello che desideri. Nelle scelte che hai preferito a tutte le altre, a anche in questi casi è complicato stare al mondo. Anche perché la prospettiva definitiva è sempre quella che prima o poi non ci saremo più. Già questo è un problema. E poi è difficile anche trovare un senso alle nostre giornate, nel perché facciamo determinate cose. Tutto questo mi spinge a interrogarmi sempre sulla vita.”

Forse la frase che riassume meglio Marko Polo è la fatica nello stare al mondo; hai trovato le risposte che cercavi, o quanto meno ti sei posta le giuste domande?
“Le giuste domande sì perché sono quelle che caratterizzano l’uomo da quando esiste come essere vivente. Sono quelle eterne e dunque necessarie. La risposta invece, secondo me sta sempre nell’altro. L’unico modo per vivere è trovare una connessione con il mondo e investire nel mondo. Non solo su te stesso, anche se va molto di moda in questo periodo storico, rendendoci tutti più egoisti e chiusi.”